Diodato si racconta: dall'Angelo Mai al tour italiano.
di: Adila Salah
Parte oggi 18 Aprile da Bari, il tour di Diodato.
Forte di una grande esperienza live, l'artista cresciuto a Taranto racconta a Musicalnews le sue origini e il grande amore verso il pubblico. Roma, San Lorenzo. Un Venerdì all'ora dell'aperitivo.
Siamo seduti su due poltronicine con davanti due birre: una chiara per lui e una Weiss per me. Antonio Diodato si presenta vestito in nero in tutta la sua gentilezza ed eleganza di ragazzo del sud.
Ho avuto il piacere di conoscerlo circa 4 anni fa, e poi di seguirlo nell'esperienza romana molto spesso sul palco dell'Angelo Mai, fino a vederlo abbracciare il grande pubblico dal palco dell'Ariston. Da quel giorno niente è cambiato: sorride e scherza con la sua solita naturalezza, mentre raccontando di se gesticola tantissimo da bravo italiano.
"One...two...three"...inizia così la nostra intervista dopo l'esperienza sanremese e in attesa del tour in partenza da Bari il 18 Aprile.
Ci siamo...allora Antonio, sei arrivato nelle nuove proposte al Festival di Sanremo dopo una tua rodata esperienza live. Cos'è cambiato nel rapporto con il pubblico dopo il Festival?
Ho notato che si sono avvicinate un sacco di persone. Prima del Festival conquistavo il pubblico con i live e le esibizioni dal vivo, o tramite i social network. La cosa che ho notato è che ora si sono avvicinate tante persone che mi hanno visto a Sanremo e che ovviamente non mi hanno nemmeno ancora mai sentito dal vivo. E' come se Sanremo avesse aperto un po' gli orizzonti. "Babilonia" è un brano molto intimo e quindi mi sono mostrato tantissimo. Questa cosa ha creato un legame molto intimo anche con il pubblico. La gente mi dice delle cose bellissime...ci vogliamo proprio bene!!! E' una cosa che non mi aspettavo, perchè avendo scritto un brano molto personale non pensavo che così tante persone potessero ritrovarsi in quelle parole. Quindi si è creato questo legame che ha come filo l'intimità.
Babilonia è una canzone autobiografica. Di cosa parla?
Non te lo dico di cosa parlo [ride]. Più che altro parto da uno stato confusionale che mi crea degli squilibri, e di una grande passione che mi aiuta a superare quello stato confusionale che mi fa soffrire. Le grandi passioni sono un po' come il fuoco, bruciano, quindi ti fanno anche del male certe volte, ma è necessario bruciarti per purificarti da altre cose. Poi uno scrive le canzoni proprio perchè non sa dire meglio a parole certe cose.
Il concetto è questo: le grandi passioni che ti aiutano a fuggire dalle Babilonie interiori.
Tu ricordi secondo me una sorta di artista estemporaneo molto anni '60, e un po' anche quello che stai facendo da Fazio con la "Canzone in un minuto", dove reinterpreti dei grandi successi nostrani, ti investe di questa immagine qui. Cosa tira fuori questa cosa da te?
Quest'esperienza mi aiuta a capire molte cose di me. Sto riscoprendo sempre di più le mie radici. Ho ascoltato tanto rock e pop inglese nel passato. Ho sempre guardato altrove, e poi un giorno ho riscoperto i grandi cantautori italiani, non so perché, ma sempre con un po' di timore. Forse perché lì il confronto era diretto con uno che parla la tua lingua e che è partito da dove sei partito tu. Quando vai a pescare dall'estero ci sono percorsi diversi, e allora tu pensi di diventare quella cosa lì qui in Italia. Invece quando ti confronti con i grandi artisti italiani sai di partire dalle stesse basi e forse quello ti spaventa anche di più. Ho iniziato a conoscere e riscoprire anche la bellezza della grande musica italiana, e che mi piace sempre di più. Quindi forse il prossimo disco sarà molto 60's [ride].
In "E forse sono pazzo" c'è Ubriaco. E' un omaggio agli anni 60?
Esatto, Ubriaco musicalmente è proprio un tributo a quel mondo lì.
Il tuo album ha molte sfaccettature, anche nei testi. Un po' rock maledetto, un po' bravo ragazzo...un po' innamorato. Chi sei tu davvero?
Ad un certo punto ho dovuto decidere se lasciare quella molteplicità di sguardi che poteva anche spiazzare e far domandare alla gente chi io fossi: quello che soffre per amore o quello dolce, oppure lo psicopatico che si analizza perchè mette a posto le cose, piuttosto che quello che si ubriaca. Io in realtà sono tutte queste cose qua. Quindi queste diversità ho voluto vederle come una ricchezza e ci tenevo venisse fuori questa molteplicità di sguardi.
Secondo te esiste ancora l'amore che si cantava negli anni '60?
Secondo me è un buon momento per ritornare a cantare l'amore come si faceva negli anni 60. Quella è musica che non morirà mai perchè dice delle cose semplici ma con poesia. Noi invece spesso complichiamo le cose perchè facciamo anche parte di una società strutturata in maniera diversa dal passato, con una semplicità che si è un po' persa. Anche se io spero sempre di ritrovarla quella semplicità. Quando riesci a scrivere qualcosa di semplice ed efficace te ne accorgi subito. Senti che c'è qualcosa in quello che scrivi. Perchè la semplicità è anche un'illuminazione, e quella cosa lì non ti succede sempre. Sei molto confuso spesso a causa degli input esterni. Quindi non è così semplice.
Cos'è che ti fa scattare la scintilla? Cos'è che ti illumina nello scrivere un pezzo?
Semplicemente il piacere che provo a farlo o comunque il fatto che mi emozioni. E poi la sfida ogni volta nel riuscire a scrivere qualcosa che ti rappresenti davvero. Perchè fingiamo tanto, abbiamo tante maschere e sovrastrutture. Non è facile scavare ogni volta e, soprattutto, è anche un po' violentarsi. A volte è bello anche solo giocare semplicemente. Non è che devi per forza parlare di te o mettere in piazza qualcosa di intimo. Quindi la scintilla può arrivare anche da situazioni felici o allegre, non per forza da depressioni. E può arrivare anche dalla vita altrui, dallo sguardo che tu hai rivolto ad altre persone. Mi è capitato di scrivere di altre storie, di mettere in musica le parole di un amico che mi viene a confidare la sua storia.
Qual è stato il pezzo più difficile da scrivere?
Forse "Capello Bianco" mi ha richiesto più tempo degli altri. Lo abbiamo anche rivisto più volte e cambiato nel corso del disco. Meritava poi una veste speciale ma era partito da un'altra parte, forse anche un po' più giocoso. Poi in realtà è diventato più riflessivo.
E quello che ti piace di più suonare dal vivo?
Questo dipende dalla serata. Ci sono delle serate in cui penso che quel pezzo non lo suoneremo mai più, poi lo suoniamo la volta dopo e penso che era il migliore mai eseguito. Quindi dipende da come mi sento e da dove sto suonando. "Capello bianco" è uno che dal vivo mi piace parecchio, e anche "Gli alberi". È un pezzo che mi emoziona tanto, anche perché dal vivo lo rivisitiamo molto. Viene fuori una cosa molto più emozionale rispetto al disco in cui è travestito da qualcosa...sembra un gigante che si muove.
[E simula la batteria con la voce]
L'angelo Mai!?
E' il posto in cui artisticamente sono cresciuto e a cui devo tanto. Mi ha permesso di sentirmi un artista vero. Mi ha permesso di non vergognarmi di questa cosa qui e questa è una cosa grandissima. Mi ha permesso di arrivare anche ad un pubblico che non era inizialmente il mio, però ci sono arrivato con una credibilità che era dovuta all'affetto degli artisti che avevo intorno e che mi mettevano su quel palco, e da una consapevolezza sempre più grande di poter fare determinate cose. E' un posto che mi ha riempito di bellezza e che mi ha fatto diventare migliore perchè non mi sono fermato alla superficie ma ho approfondito lo sguardo. E' un posto che mi manca già tanto e faremo di tutto, anche in prima, persona per risolvere questo problema.
Tra l'altro dovrebbe essere la tappa romana del tuo tour che è in partenza il 18 Aprile...
Si, e se non dovesse essere l'Angelo non suonerò a Roma fino a questa estate perchè non mi sento di farlo da nessun'altra parte.
Dimmi del tour!
Sono felice! Finalmente! Gli showcase nelle librerie sono stati incredibili perché come ti dicevo prima mi hanno permesso di interagire a livello umano con le persone.Parli con la gente, ti dicono quello che hanno sentito. Il concerto questo non te lo permette, però ti permette di esprimere al massimo tutta la potenzialità e il potere di dire quello che vuoi dire. C'è feeling con la band...ed è bello avere un pubblico davanti al quale racconti delle cose con una incisività di un certo tipo. Sono curioso io per primo di capire cosa accadrà. Iniziamo dalla Puglia -casa- e questo mi rende felice. Poi parecchio nord. Sarà anche un modo per rodare un po' il tutto. Spero anche di fare festival in estate, perchè il festival ti permette anche l'incontro con altri musicisti.
Tu poi sei cittadino di tutta Italia. Nasci ad Aosta, cresci a Taranto e vivi a Roma da molto tempo. Dov'è che ti senti davvero a casa?
Sto imparando a sentirmi a casa un po' ovunque. Casa è dove vengo accolto. Già questo primo tour che abbiamo fatto negli showcase è stato meraviglioso perchè poi alle 20,30 finivamo e andavamo a cenare. E' stato un ulteriore modo per scoprire la bellezza di questo Paese che ci dimentichiamo troppo spesso e non tuteliamo abbastanza. A volte entri in quella dimensione in cui essere zingaro ti fa sentire a casa solo per il fatto di fare qualcosa che ti piace. E poi hai dei riscontri positivi. Spero di stare in giro parecchio e di sentirmi a casa in ogni posto in cui vado. Poi è chiaro che ci sono dei posti in cui ho vissuto tanti anni e in cui torno con piacere, però a me piace anche scoprire cose nuove.
Raccontami meglio l'esperienza di Sanremo.
Sanremo è stata un'esperienza meravigliosa. Un'altra cosa che mi ha fatto crescere tanto, che ho vissuto con delle belle persone vicino e alle quali voglio bene. Anche lì sono stato a casa. Questa cosa l'ho voluta e cercata. Ho partecipato ad un Festival che secondo me aveva anche un certo spessore culturale. Tutta la squadra di Fazio con i suoi autori, sono incredibili. Lui è esattamente come lo vedi in tv, senza filtri. Ed è una persona che quando si innamora delle cose, anche se non sono cose che possono avere un riscontro immediato, insiste. E di questo lo ringrazio perché mi sta dando un'ulteriore possibilità e visibilità. Mi hanno fatto sentire a casa subito a Sanremo e penso di poterlo dire a nome di tutte le nuove proposte. Situazione ideale...è chiaro che la vivi con una certa tensione. Io ho cantato dopo Rufus Wainwright, Paolo Nutini, Damien Rice e quindi anche a livello di artisti internazionali c'era uno spessore elevato. Ho vissuto un momento bellissimo della mia vita. E' stato tanto faticoso perchè ogni giorno poi hai sette od otto interviste in posti diversi, e la sera dovevo anche cantare. Arrivavo stremato. E' una cosa che ti prova, ma sei anche consapevole che è una grande possibilità e te la giochi fino in fondo.
Stai già pensando al prossimo disco?
Si! Anche perchè "E forse sono pazzo" è uscito da un anno, poi è stato ristampato. Però nel 2015 vorrei uscire con qualcosa di nuovo. Sto già scrivendo delle cose, le avevo già scritte anche quando abbiamo registrato il brano per Sanremo. "Babilonia" non è stato l'unico, ne ho registrati quattro e gli altri tre sono pezzi che potrebbero tranquillamente far parte del disco.
Perchè hai scelto Babilonia?
Non sono stato il solo. Penso di aver imparato anche a fidarmi dei riscontri di persone a me vicine e tutti indicavano "Babilonia". Io ero spaventato perchè è un brano molto difficile da cantare, e quindi ero combattuto se andare a rischiare o meno proprio al Festival. Poi mi sono detto che era davvero la cosa da fare. Volevo andare lì con quella tensione. Se fossi andato con un pezzo più facile o più tranquillo, probabilmente quell'emozione che provavo non sarebbe arrivata al pubblico a casa. Ho ricevuto un sacco di feedback postivi perchè è un brano in crescendo che mette in risalto la mia vocalità. E quindi sono felice per aver scelto quello lì. Sapevamo che non era poi un brano facilissimo al primo ascolto perchè non è certo la hit che passa in tutte le radio, però abbiamo preferito fare qualcosa che ci rispecchiasse in pieno.
La tua cover di "Amore che vieni amore che vai" è stata scelta per il film di Luchetti "Anni felici". Sei laureato in cinema. Per quale film che ami avresti voluto scrivere la colonna sonora?
Sicuramente per The eternal sunshine of the spotless mind. E' un film che mi è rimasto molto dentro.
Che musica ascolti?
Ultimamente un sacco di musica anni 60 italiana [ride], per ritrovare i pezzi da fare da Fazio. Però non pongo limiti all'ascolto. Mi piacciono i dischi degli amici che conosco e che reputo eccezionali. Ad esempio i Luminal, Giovanni Truppi, o Francesco Forni e Ilaria Graziano. E poi dischi di gruppi tipo i Black Keys o anche band inglesi. Ultimamente è un po' che non mi capita di sentire un disco che mi lascia davvero sorpreso, sarà che ho anche poco tempo...no aspetta...l'ultimo dei Queens of the stone age, quello mi ha davvero colpito.
Qual è il disco che senti più tuo?
Forse Ok Computer dei Radiohead, che ho riproposto anche All'Angelo Mai. Quello è un disco che conosco nei minimi particolari, un disco bellissimo. Ma anche il White album dei Beatles, anche se in modo diverso. Forse perchè fa parte di un altro tipo di percorso.
Quand'è che hai deciso che avresti cantato?
In realtà lo hanno deciso gli altri. Nel senso che spesso anche a scuola mi dicevano che avrei dovuto cantare. Ma a me non piaceva la mia voce, quindi restavo sorpreso quando chiedevano sempre a me di cantare. Poi alla fine mi hanno spinto e ho cominciato a farlo vedendo sempre più il riscontro delle persone e ricevendo complimenti. Quindi poi è stata una cosa molto graduale, non c'è stato un momento specifico che io ricordi di aver pensato "Ok, canto!"
Sei stato paragonato anche a Jeff Buckley per il tuo timbro di voce. Hai qualcuno a cui ti ispiri?
Jeff Buckley lo ascolto da tanto, quindi probabilmente mi ha influenzato, però a cui mi ispiro no. Mi piacciono alcuni artisti che mettono gioia nel fare musica. Quelli che quando li guardi dal vivo, oppure ascolti i loro dischi senti quella felicità nel fare quello che fanno. Non significa essere allegri, significa avere un approccio gioioso nel fare musica, che è una cosa che ti arriva immediatamente. Poi spero di diventare così anche io.
Un concerto che avresti voluto vedere?
Un sacco! Sicuramente i Queens of the stone age. Mi sarebbe piaciuto vedere i Pink Floyd o i grandi della musica, anche i Blur e i Sigur Ros.
Con chi collaboreresti?
Con Mina. Sarebbe bello cantare con lei. E' un'artista mondiale, uno dei miti viventi. Mi sarebbe piaciuto anche Modugno, fosse stato possibile.
Tra l'altro Stefano Mannucci intervistandoti ha paragonato il tuo gesto di aprire le braccia mentre cantavi Babilonia sul palco di Sanremo, a quello che fece proprio Modugno molti anni prima.
Mi ha fatto emozionare Stefano quando ha detto quella cosa.
Hai ricevuto un premio degno di nota di questi giorni: sei entrato nella classifica dei musicisti adottabili.
[ridiamo]
Non ho capito a che posto sono arrivato. Quarto? [ride]. Mi ha fatto ridere un sacco quella cosa. Poi a me piace scherzare su queste cose. Ho battuto Fabri Fibra, Jovanotti... [ride].
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