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Interviste
Pubblicato il 04/12/2009 alle 17:16:33Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Max Manfredi: noi che facciamo canzoni, in cerca di anime

di: Stefania Schintu

Il cantautore genovese, Targa Tenco 2009 per il miglior album "Luna Persa", racconta del suo rapporto con la musica e con la discografia.

E’ stato inserito da Gianni Mura tra le cento persone più importanti del 2009, insignito del Premio Tenco 2009 per il miglior album con “Luna Persa”, ha ritirato il premio Brassens per "i connotati di alta qualità dei suoi testi legati alla forza poetica della musica". E’ Max Manfredi, cantautore genovese, anche se lui preferisce definirsi uno che “fa canzoni”. “Sì – dice – noi che facciamo canzoni siamo come diavoli in cerca di anime”. Anime belle, anime brutte, anime nere, grigie e colorate… “nel nostro piccolo inferno - continua – c’è posto per tutti, in maniera trasversale”. E se gli si chiede che tipo di anima ha più spesso incontrato sul suo cammino risponde: “di ogni tipo, anime più disponibili e più refrattarie, senza un target, di ogni età e posizione sociale. Io non faccio la mia musica seguendo un piano razionale, ogni animo sensibile è passibile di ascolto”. E le “anime passibili”, così come le chiama Manfredi, sono tante visto che il suo “Luna Persa” (edito da Ala Bianca e distribuito da Warner Music) è già alla terza ristampa. Col nuovo anno partirà anche un tour teatrale. “Un modo per rendere giustizia alla teatralità che già c’è nei brani. Non uno spettacolo di teatro-canzone – spiega – piuttosto una canzone-teatro: vogliamo dare una regia teatrale ad uno spettacolo di canzoni”.


Cosa significa oggi per te “fare canzoni”?
C’è tantissima gente che fa canzoni oggi, inspiegabilmente molta di più rispetto agli anni in cui si poteva tentare di vendere. Oggi fare canzoni è uno sport estremo, un po’ come viaggiare su Trenitalia. Assolutamente sono contrario alle logiche di categoria, lo ritengo di pessimo gusto. La musica va sempre vissuta come magia, poi bisogna vedere se si sceglie di farla in base a standard o si cerca di trovare una strada propria come ho sempre fatto io. Il mio cammino musicale ovviamente ha avuto delle influenze che sono quelle delle grandi tradizioni della canzone, quelle del ‘900, il jazz, la musica classica, il fado…

Oggi, come in molti altri settori, si tende ad incasellare i prodotti musicali dividendoli per categorie…
Non è possibile ragionare così. Quello che posso dire, a beneficio di chi continua a vedere le cose dividendole per target, che sono moltissimi i ragazzi, anche molto giovani, che escono da queste logiche. Si ragiona in base a pregiudizi di categoria, invece una grande fetta di pubblico ne è abbastanza aliena e manifesta dei gusti molto diversi da quelli che uno si aspetterebbe pensando alle statistiche di mercato. Se vogliamo dire che si tratta di minoranze diciamolo pure, ma sono minoranze molto consistenti. Minoranze che hanno dei gusti molto diversi rispetto a quello che gli viene propinato.

Stai dicendo che hai riscontrato, anche in ragazzi molto giovani, una cultura musicale insospettabile?
Sì, esattamente. E questo credo che sia da attribuirsi alle possibilità che oggi dà la rete. Internet è come una sirena che smista e cattura, specchio del capriccio del ricercatore: si può partire da Marilyn Manson e arrivare Edgar Allan Poe. E’ vero, è dispersiva, ma dà moltissimi stimoli e apre possibilità che l’industria del disco non immaginava neanche.

L’industria del disco si dice in crisi ma alla fine produce, per la maggior parte, musica “usa e getta” di provenienza televisiva…
Sì, non si punta più al tempo, né alla valorizzazione del prodotto di valore. Niente come un prodotto di valore ha bisogno d’essere valorizzato. Si preferisce scegliere o costruire un prodotto su basi statistiche. Si prende uno sconosciuto, lo si mette sotto contratto, lo si promuove ‘a stecca’ per un anno in modo da vendere qualche suoneria e un po’ di dischi e poi si passa al prossimo. Ma tutto questo non copre la voglia di ascolto della gente. Così l’industria vivacchia perdendo di vista l’azzardo e la scommessa, e preferisce imporre delle “proposte” che a breve andare generano noia.

Lo dimostra il fatto che spesso i concerti di noti personaggi in auge nelle radio siano andati quasi deserti…
C’è una certa sazietà di proposte-imposizioni, per questo si trasferisce altrove la gioia della scoperta. Poi in certe trasmissioni le dinamiche psicologiche sono tutt’altro che musicali, sono quelle dell’agonismo, il volercela fare ad ogni costo. Quella che oggi viene chiamata meritocrazia… Una volta uno era meritevole quando era bravo, non quando veniva giudicato vendibile. Fino a quando i giudici non distingueranno “il valore dal prezzo” – come dico in una mia canzone - anche il concetto di meritocrazia sarà un disastro.
Poi ci si trova di fronte ad uno strano fenomeno: ad una presunta crisi discografica corrisponde una crescita enorme dell’offerta. Decine di migliaia di ‘facitori’ di canzoni che rendono arduo anche un criterio di selezione.

Si parla da anni di crisi discografica così come si dice che la canzone d’autore sia morta…
Sì, di questa faccenda della morte della canzone d’autore si blatera almeno da vent’anni e ogni volta chi la dice ha l’impressione di dire una novità. Invece si tratta di uno slogan. Ogni volta che lo sento dire mi fa un po’ l’effetto di un film di Disney dove c’è Geppetto che piange Pinocchio perché lo crede morto, Pinocchio che dice ‘papà sono vivo’ e lui gli risponde ‘no Pinocchio sei morto, stai giù stai giù’. Che la musica d’autore sia viva è una realtà, anche se è attualmente arduo definire quelli che dovrebbero essere i personaggi rappresentativi di questo fenomeno, e in base a che modelli. Decine di migliaia di persone fanno canzoni, ma molti sono gli auto-chiamati e pochi gli eletti.

E come si rapporta la discografia con la canzone d’autore?
Tranne poche etichette indipendenti che hanno un peso e molte piccole e piccolissime, con meno peso, nessuno accetta l’azzardo di produrre “cultura” non standard. Credo che il problema sia soprattutto dovuto al fatto che la maggior parte delle etichette fa capo a multinazionali dove l’idea imprenditoriale è andata un po’ perduta. La multinazionale ha disparatissimi proventi.

Forse dipende dal fatto che la musica non sia considerato prodotto culturale…
Anche. E questo è un problema tutto italiano. Nel nostro paese, per esempio, chi fa musica per strada è considerato ancora un accattone. Ho visto scacciare in malo modo un suonatore di theremin in una piazzetta… che tristezza.

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