Umberto Tozzi: Con il mio nuovo album ho riscoperto il piacere di fare musica
di: Giuseppe Panella
Spontaneità ed immediatezza in Yesterday today, ultimo album di Umberto Tozzi. In una lunga intervista il cantautore si racconta ai lettori di Musicalnews. Spontaneità ed immediatezza in Yesterday today, ultimo album di Umberto Tozzi. In una lunga intervista il cantautore si racconta ai lettori di Musicalnews.
Un marchio riconoscibile sin dalle prime note. Umberto Tozzi ritorna al suo pubblico riproponendo con l’ultimo lavoro “Yesterday today”, un doppio cd in cui alla nostalgia del passato si aggiungono dieci brani inediti che riportano l’ascoltatore a suoni che da sempre caratterizzano la scrittura del cantautore torinese.
Rilassato e disponibile come sempre Tozzi ci ha parlato del suo disco e di un po’ della sua storia passata.
“Yesterday, today”, esce a distanza di sette anni da “Le parole”, ultimo album di inediti. A cosa è dovuto questo lungo periodo di assenza dal mercato?
Non avevo più voglia di scrivere cose nuove, ed ho deciso di fare molti tour, perché il desiderio di ogni musicista è quello di andare sul palco e suonare. Poi lo scorso anno ho avuto l’ispirazione di scrivere queste nuove canzoni ed è venuto fuori questo lavoro.
In questo lavoro è evidente la matrice rock che caratterizza da sempre i suoi album. Ci sono forti richiami al passato e il brano di chiusura, “Here there everywhere” dei Beatles ne è un esempio.
Questa è stata una cosa abbastanza casuale perché il mio sassofonista ha realizzato lo scorso anno il suo primo album completamente strumentale e mi ha chiesto una partecipazione ed io l’ho invitato a scegliere un brano. Lui sapendo che sono un grande fan dei Beatles ha scelto questo brano, che mi sembra sia venuto molto bene e del quale sono contento.
Sin dal primo brano si avverte una freschezza che riporta immediatamente al tuo suono.
Mi fa piacere che tu lo abbia notato perché è quello che ho cercato di fare da quando ho incominciato a scrivere le canzoni di questo lavoro. In questo album c’è la spontaneità dei miei esordi; volevo che tutto suonasse semplice ed immediato e ho riscoperto il piacere di fare musica in quel modo.
Immediatezza che evidenzia anche la tua solita vena rock.
Quella è stata sempre la mia natura, io sempre cercato di fare cose vicino al mio mondo musicale ed anche nei miei concerti le mie canzoni suonavano molto più rock. In questo nuovo lavoro è venuta fuori ancora di più la mia vera anima.
Perché la scelta di un titolo in inglese?
In italiano non mi piaceva e poichè viene pubblicato in tutta Europa ho scelto il titolo in inglese per una maggiore immediatezza con quei mercati.
Abbiamo parlato dei tuoi esordi. Quanto ha influito avere in casa un fratello musicista, con il quale hai suonato negli Off Sound?
Già prima di suonare con Franco avevo avuto esperienze con altre band. Suonavo ovunque, dalle cantine alle parrocchie, divertendomi molto. La presenza di Franco in casa è stata importante perché lui era già un musicista affermato, suonava il violino e il basso e in casa c’era anche una chitarra. E’ stato amore a prima vista.
Poi l’incontro con Bigazzi.
Che non è avvenuto subito. Ho suonato con molta gente per otto anni, cominciando a scrivere canzoni. Poi ho incontrato Giancarlo Bigazzi che mi ha convinto a cantare le mie canzoni facendomi da produttore e da maestro.
Prima però hai suonato anche con Patrick Samson.
E' vero. Ho suonato con la sua big band mi sono divertito tanto. All’epoca ho avuto questa possibilità e non me la sono fatta scappare. Ho suonato 2 anni con Patrick e la sua big band che aveva dei fiati pazzeschi. Eravamo spesso in giro per concerti e grazie anche a quella chance sono riuscito ad avere dei contatti professionali con molta gente del settore.
Con te, nel Patrick Samson Set, c’erano Guido Guglielminetti ed Euro Cristiani, con i quali hai condiviso parte dei tuoi inizi e con i quali sei approdato alla Numero Uno, neonata etichetta di Mogol e Battisti.
Guido suonava con me nelle band che avevamo creato a Torino, Euro l’ho incontrato nella band di Samson e poi da lì abbiamo fatto un percorso insieme in altre band, fino a quando io ho inciso “Donna amante mia”, il mio primo disco
Che ricordi hai di quel periodo e di Battisti in particolare?
Ero un suo fan e conoscerlo di persona è stato un piacere enorme. Amavo la sua musica e quello che faceva. Ho anche fatto dei provini per registrare con lui “Il mio canto libero”, ma non fui scelto. E’ stata comunque una esperienza positiva che mi ha lasciato dei bei ricordi.
Per quella etichetta ha inciso “Strada bianca”, un album mai pubblicato (nda, è uscito qualche anno fa in cd). Come mai?
Avevo inciso quel disco con Massimo Luca e Damiano Dattoli, ci chiamavamo Data. Concluse le registrazioni successe che la Numero Uno fu venduta alla RCA, che non ci ha presi in considerazione. Era un disco che mi piaceva, ma non bastava. Subito dopo ci siamo separati.
Oltre a Giancarlo Bigazzi, per i tuoi inizi ha avuto una certa importanza Alfredo Cerruti.
Al pari di Bigazzi, considero Cerruti un grande. Era un direttore artistico molto competente, dotato di un grande intuito e un grande talento Oggi non esistono personaggi con quelle caratteristiche. Le case discografiche sono popolate da incompetenti e quello è il danno che si vede nelle nuove generazioni che non riescono a venir fuori.
Recentemente Ivano Fossati ha abbandonato le scene. Nel periodo della Numero Uno, hai collaborato con lui nell’album “Goodbye Indiana”. Era il 1975, dopo qualche mese sarebbe uscito il suo primo album “Donna amante mia”. Come hai vissuto quellincontro?
In quel periodo si faceva musica senza pensarci troppo su. Io, Ivano e Oscar Prudente stavamo molto insieme e quello che scrivevamo era la logica conseguenza. Era tutto facile, quasi magico.
In una intervista di qualche anno fa era deluso dal comportamento delle radio per le loro scelte. Lo è tuttora?
Oggi quella rabbia non ce l’ho più, mi sono rasserenato. Loro hanno un percorso editoriale, ma non nascondo che in quel periodo io ero molto irritato perché mi ero reso conto che io non facevo parte del loro percorso e mi sono sentito molto offeso professionalmente. Oggi sono molto più disteso e non me la prendo più se non passano più le mie canzoni.
La canzone italiana è cambiata. Manca la personalità e le case discografiche sembrano adeguarsi alla mancanza di idee. Di chi è la colpa?
Io credo che al danno che hanno fatto non si rimedia più. Ai miei tempi, io e i miei colleghi avevamo la possibilità di sbagliare al primo disco e, nonostante tutto, riuscivamo a fare il secondo album perché credevano in noi e avevano la competenza giusta per aiutare ed indirizzare l’artista. Oggi i ragazzi hanno poche colpe perché quelle strutture non ci sono più o se esistono sono popolate da gente con scarsa competenza, quindi questi ragazzi sono sprovveduti e quindi si è creata una generazione di non musicisti. Addirittura, laddove esiste il talento non c’è possibilità alcuna che emerga perchè non esiste quella scuola lì, che era veramente importante. Oggi mancano cantautori che abbiano una personalità. E poi certi titoli pubblicati in quel periodo sono irripetibili.
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