Rocco De Rosa parla del suo nuovo album, Tramari. World Music, Jazz e Mediterraneo, alla riscoperta delle proprie radici.
di: Nicola DeRio
Rocco De Rosa si racconta in quest’intervista, parla del suo nuovo album realizzato seguendo rotte distratte e navigando tra mari sonori sempre nuovi, alla ricerca della sua Itaca.
Rocco De Rosa si racconta in quest’intervista, parla del suo nuovo album realizzato seguendo rotte distratte e navigando tra mari sonori sempre nuovi, alla ricerca della sua Itaca.
Ciao Rocco, iniziamo col dire che questo tuo nuovo lavoro ha un titolo dai diversi significati e dalle diverse sfumature.
Si lega al lavoro pubblicato nel 2002, Rotte Distratte, e a tutto il tuo lavoro di ricerca di sonorità legate in particolar modo al Meridione d’Italia.
Usando un gioco di parole potremmo dire che, seguendo rotte distratte stai navigando tra mari sempre nuovi, alla ricerca della tua Itaca, sei d’accordo?
Guarda, direi che posso esser d’accordo, solo che questa Itaca sembra non arrivare mai. Spero di vederla presto all’orizzonte. A un certo punto bisogna anche fermarsi, però credo di esserci vicino ecco…
Ascoltando il tuo album, è ben chiaro il tuo tentativo di raggiungere un certo tipo di essenzialità, grazie all’uso di strumenti acustici, ma anche una ricerca di suoni che portano alla mente atmosfere mediterranee. Ma ho sentito anche diverse influenze legate al Jazz, alla musica Africana e scale che si rifanno a ritmi balcanici. Alcuni musicologi potrebbero etichettare la tua musica ad esempio come Musica Mediterranea, tagliando con il coltello una proposta invece varia e complessa. Cosa ne pensi su questo rischio di semplificazione?
Ci sono diversi modi per intendere le influenze o le contaminazioni. C’è chi fa una ricerca filologica, quindi si legge tutte le note e le scale. C’è chi invece come me - premetto che io non leggo la musica - segue un’altra strada che è invece più rivolta verso l’interno di se, alla ricerca di una memoria sonora che ognuno di noi si porta dentro, ricerca che è molto faticosa, per questo faccio un album ogni quattro anni. Lo faccio solo quando sono riuscito a tirare fuori questo bagaglio che abbiamo dentro. Questo lo dico anche a tutti i musicisti che lavorano con me, non è necessario andare a prendere sonorità tanto lontane da noi, basta rivolgere e riacchiappare il filo che ci lega con il nostro passato soprattutto per coloro che come me hanno radici legate al Sud. Il Jazz o altro arriva, per forza di cose arriva per influenza dei miei musicisti magari, ma io sono alla ricerca di qualcosa che poi senta come mio. Non amo molto scimmiottare generi, stili o musicisti sarei patetico. Involontariamente si è influenzati per forza di cose, però in fin dei conti il tutto rappresenta sempre una mia elaborazione personale, questo è il punto fondamentale.
Il mare è l’elemento che caratterizza questo progetto.
Il mare che quando non separa e allontana fa incontrare e unisce le culture,
Il mare come unica via di fuga dalla fame e dalla disperazione che diventa luogo di morte per migliaia di emigranti. Il mare come spazio meditativo.
Tutte riflessioni e significati che sembrano mancare in un certo tipo di opinione pubblica. La tua è stata una scelta in polemica o cosa?
Io per una storia mia, di famiglia, per il mio vissuto e per la mia esperienza, credo di sapere cosa significa essere costretti a lasciare la propria terra, i propri affetti le proprie abitudini e la propria lingua. Per cui quando viene fatta questa scelta dolorosissima e perché si è costretti per vari motivi a partire. Nessuno parte con la gioia di partire, è un dolore straziante. Io trovo assolutamente inaccettabile, moralmente e da un punto di vista umano, quello che avviene qui in Italia oggi sulla questione migranti. Quello che tollero ancora meno è il discorso della memoria, infatti, il nostro paese ha sparsi nel mondo ventisette milioni di nostri connazionali. In un bel libro di Gian Antonio Stella dal titolo,l’orda quando gli albanesi eravamo noi, si racconta dei soprusi e delle sofferenze patite dagli italiani che emigravano. Ecco noi oggi facciamo, a chi arriva nel nostro paese, le stesse cose che hanno subito i nostri connazionali nel passato. Questo vuol dire che non abbiamo imparato nulla. Questa la trovo una cosa scandalosa, non trovo proprio giustificazioni per una scelta politica del genere.
Il tutto in nome della sicurezza e per questo si pensano queste trovate.
Serve far percepire che c’è un pericolo. Questa percezione viene alimentata da un’informazione che spinge in quella direzione. Non ti dicono che l’80% degli emigrati arrivano via terra, mentre sono solo una minima parte quelli che arrivano via mare a Lampedusa, per esempio. Quindi il problema viene usato come argomento di propaganda, una dimostrazione di forza, fondamentalmente usata, verso dei deboli.
So che conosci ed hai lavorato con Canio Loguercio.
Volendo fare un parallelo con la sua musica, che va alla riscoperta delle passioni nella canzone napoletana, quale dei tuoi brani possa essere più adatto per raccontare una storia d’amore?
Ci devo pensare un attimo, forse il secondo brano, Sto, e Fragili Derive, traccia numero dieci.
A proposito ti posso dire che le tue musiche, alcune almeno, suonano bene come sottofondo per fare l’amore…
Ma, scusa se entro nel privato, l’hai sperimentato?
Beh questo non te lo posso dire, però posso confermati che suonano bene…
Tra le varie mail che ho ricevuto in questi anni, molte mi ringraziano e mi dicono che la mia musica è stata la colonna sonora dei loro amori. Questo mi fa molto piacere. Non mi hai detto una cosa nuova, me l’hanno detto molte persone, pensa che mi hanno dato anche i vari titoli dei brani…
Beh ma allora c’è stato anche un ascolto attento, diciamo…
Ah Ah si, si certo…
Hai riproposto in ricordo di Sergio Endrigo il brano, Il giardino di Giovanni. Dal testo si intuisce che parla di un posto magico e distante dal quotidiano, speciale. Perché questa scelta e quale è il ricordo che più ti lega a questo cantautore scomparso.
Io nel 90 ho scritto le musiche per un disco con Sergio, vedendoci tutti i giorni per due mesi. Io scrivevo le musiche lui i testi. Era un periodo in cui lui era completamente dimenticato, qui in Italia, mentre in altri paesi, come in Francia, sarebbe stato una specie di divinità, ma qui le persone che hanno segnato la storia della canzone vengono purtroppo dimenticate…
Questo brano gli piacque tantissimo tanto che scrisse subito il testo, ispirato da una persona reale, un contadino di Pantelleria, che aveva un orto meraviglioso. Ha usato questo luogo come simbolo, intorno al quale ha disegnato tutta la storia. Sergio pochi mesi prima dell’uscita del disco ci ha lasciato e per me inserire questa canzone nel mio ultimo album è stato un gesto e un omaggio naturale, anche perché ha amato quell’album che all’epoca non ha avuto nessun riscontro ne diffusione, cosa che l’aveva amareggio tanto.
Ho letto anche che hai avuto un’intensa attività di sonorizzazione al pianoforte di classici del film muto, da Chaplin a Shimitzu, in numerosi festival. Di fronte ai mega effetti speciali del nuovo cinema, sempre più impressionanti e spettacolari, qual è il valore di riproporre questi film musicandoli dal vivo?
Io ti auguro che un giorno tu possa vederlo un film musicato in questa maniera. Sembra incredibile ma nell’era del 3D, questa situazione scarna e semplice risulta incredibilmente efficace. Inizia il film, io inizio a suonare e d’improvviso mi rendo conto che durante la visione, la gente non mi vede più è rapita dallo spettacolo, adulti e bambini. Dal loro coinvolgimento mi rendo conto se ho scelto la chiave di lettura giusta, perché le mie composizioni si basano sull’improvvisazione.
Infatti, non c’è nessun riferimento alla colonna sonora originale, io umilmente eseguo la mia musica improvvisandola al momento, seguendo fotogramma per fotogramma. Ogni volta per me è la prima volta ed evito di rivedere il film, prima della rappresentazione, perché preferisco guardarlo insieme al pubblico.
Fino ad ora ho avuto una risposta molto positiva, ed è per me molto rincuorante.
Grazie Rocco per la tua disponibilità e per la bella chiacchierata.
Grazie a te Nicola a presto
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