Uross: la morale della musica nuda e... i calcoli dei ragionieri
di: Ambrosia J.S. Imbornone
Le canzoni di Uross e degli Unartisti fanno pensare. Non vogliono essere un prodotto. Ma alla fine cosa conta per affermarsi? Ciò che si scrive...o i calcoli da ragionieri?Una chiacchierata sulla musica del gruppo e sulla musica per il gruppo. Abbiamo recensito di recente l’ultimo demo di Uross e degli UNArtisti, “Soliloquio d’estate”, un disco che, nato in quel di Monopoli, cerca di non essere un prodotto, ma un veicolo di pensieri mai banali tra scrittura folk-rock che apre squarci d’America, rock old-school bluesaggiante, ed eclettismo pop d’autore à la Silvestri. Ma la musica, nuda nella sua volontà di parlare senza maschere di convenienza o costumi ruffiani, ha ancora interlocutori, o tra manovre di mercato più adatte ad economisti e diffusa assuefazione al vuoto da classifica, gli artisti sono davvero costretti al soliloquio? Vediamo cosa ne pensa Uross e come ci racconta il suo modo di intendere e fare musica.
Ambrosia: Dal 2005 ti esibisci e lavori con una band, ma le canzoni sono comunque integralmente tue. Si tratta di una scelta o di una contingenza? Visto che poi trovate insieme la veste sonora definitiva nell’arrangiamento, se non erro, il gruppo potrebbe anche entrare in futuro direttamente nella composizione di un pezzo?
Uross: Pura contingenza...Nascono in solitaria, tipo quei marinai che s’avventurano per i mari, un pò folli e un pò fedeli, a cosa non so...Sono canzoni che potresti cantare e suonare comodamente stando chitarra e voce sul tuo divano di casa (se hai un divano...se hai una casa). Poi sì, tutti insieme si comincia ad andare da qualche parte per trasformare la canzone nuda e cruda in una canzone un pò meno cruda ma sempre nuda: il nudo è un pò come la verità. Se scivi, che siano canzoni o siano poesie, racconti o sceneggiature teatrali, o ancora dipingi un quadro, devi essere nudo...E’ una questione morale, non più estetica, è la morale dell’arte!
A: A proposito di arte...trovo interessante che nella vostra bio ci teniate a precisare che il vostro non è un “progetto” musicale, perché questa parola evoca qualcosa di studiato a tavolino con la precisione dei “ragionieri dell’arte”. Quanta musica degli artisti emergenti e di quelli affermati è ancora “artigianato” che nasce dall’amore per l’arte e quanta segue criteri commerciali come fosse qualcosa “da piazzare come qualsiasi altro prodotto al discount sullo scaffale” secondo te?
U: Il termine “progetto” presuppone una serie di “calcoli” da ragionieri...Ma se fai davvero musica comunichi, non stai alla cassa di niente, perché la cassa è il passaggio da arte a bene di consumo.
Qui per Sfortuna siamo ancora nell’artigianato più estremo.
A: Come mai hai deciso di scrivere (e tra l’altro registrare in piena estate :) ) una canzone che ironizza sulla retorica del Natale, con la sua bontà a tempo, e dei brani natalizi?
U: In realtà la “Canzone di Natale” mi è venuta proprio la notte di Natale 2008 e...mi sono sentito triste. Non si può amare a comando o a scadenze più o meno regolari. Addirittura proporrei di essere buoni per tutto il resto dell’anno e fare gli stronzi durante quei 10/15 giorni di Natale.
Sai come sarebbe meglio ‘sto mondo: 365/6 meno 15 resterebbero 350/1 giorni di pace...Non male direi.
A: Qual è l’obiettivo più specifico della tua “L’urlo”? Ce n’è un po’ per tutti i gusti, dall’ipocrisia alle sperequazioni sociali, dai teledipendenti ai pavidi che perdono la loro dignità…
U: “L’Urlo” si apre, per quanto riguarda la voce, proprio con un urlo ed è quello che a volte ti passa per la testa, anzi per tutto il corpo...Vorresti proprio urlare, perché ci sono cose che oggettivamente non sono buone in giro per il mondo.Troppo facile dirlo così vero? Lo so, ma è un dato di fatto che le cose non girano come potrebbero, e non dico “come dovrebbero”.
A: Com’è nata l’idea di immaginare tra il serio e il faceto il tuo funerale ne “Al mio funerale”?
U: Potrebbe sembrare un’idea di base piuttosto triste, ma se ci pensi la morte è un evento fisiologico della vita, certamente l’ultimo. E a dare vita alla canzone è stato solo il pensiero di come vorrei fosse il mio “ultimo appuntamento”... Spero poco mondano, con un cane fedele ad accompagnarmi in rappresentanza degli unici affetti di cui abbiamo davvero bisogno. Tutto tranne l’inutile (come una vecchia canzone presente sul ns. demo del 2007 “Quasixcaos”)
A: La vostra musica sembra essersi nutrita del songwriting folk-rock americano…Che artisti sentite maggiormente vicini a voi?
U: I nomi che hai citato [ndr: Springsteen, Pearl Jam, ecc.] nella recensione vanno tutti bene, fatta eccezione per alcuni nomi italiani, Carboni e Fabi soprattutto: non li ho ascoltati, non è un vanto, ma è semplicemente così. Per il resto posso dire che tra i tre demo fatti, da quando suoniamo come gruppo (nel 2007 “Quasixcaos”, nel 2008 “Fatto in casa” e quest’ultimo “Soliloquio d’estate”), credo che come fruitore di musica sia proprio “Soliloquio” il più affine ai miei gusti personali. Con questo non dico che gli altri 2 li abbia fatti “qualcun’altro”, ma solo che con questo lavoro è stato fatto qualcosa di più immediato, più diretto, meno celebrale...meno PROGETTO....ahahah
A: Come ti sembra la scena pugliese in questo momento?
U: Come in tutti i posti, la Puglia non è solo i grandi nomi.Il problema sono gli spazi per suonare live, ma è un solito triste problema comune a un pò a tutti queli che propongono musica propria e...non cover!!
A: Avete partecipato a tante manifestazioni locali e nazionali…Sono delle vetrine utili o a volte è più il fumo dell’arrosto? Consigliate ad altri colleghi di partecipare ai concorsi?
U: Preferisco non dare consigli, però credo ci sia tanto fumo e molto poco arrosto. Forse non piacerà a molti leggerlo, ma l’Italia non è esente da caste neanche nel campo della musica. Nella maggior parte dei casi, vai avanti se conosci da più o meno vicino qualcuno, o sei parente di Tizio o Caio oppure ancora, come in un qualsiasi “mercato”, se hai del denaro in abbondanza. In questo caso quindi ti paghi tutto, ti paghi i cd, e se te li distribuisce qualcuno te ne devi “ricomprare” almeno un certo numero prestabilito, paghi l’ufficio stampa, paghi l’agenzia di booking e sembra che tutto funzioni...ma allora non è più la musica il tuo “elemento” primario, quanto piuttosto il tuo saperti muovere nell’ambienete, l’essere rappresentante del tuo “progetto”. Ma allora perché si dice di fare musica? Credo che ci siano figure necessarie allo sviluppo e divulgazione del “progetto” (e in questi termini posso accettare la parola “progetto”, come qualcosa a cui collaborano altri oltre gli artisti), ma che non debbano occuparsi gli artisti stessi, perchè ognuno deve concentrare le proprie forze in quello che meglio sa fare. Forse è una visione un pò naif, ma è certamente più onesta di quella compiuta da chi vuole far credere di avercela fatta, ma si è servito di elementi accessori che spesso prevaricano la musica.
A: Riuscire ad ampliare il proprio pubblico per le band non è mai impresa facile. Quanta genuina fame di musica c’è secondo te nel pubblico e quanta indifferenza invece anche tra gli spettatori di pub ed eventi vari che non permette magari di distinguere la musica che abbia qualcosa da dire dall’aria fritta, all’insegna della ricerca del divertimento puro e senza pensieri?
U: Io non ne faccio una questione di divertimento puro o impegno. La musica deve colpire prima di tutto DENTRO. Può essere che un artista scriva parole bellissime, le metta poi in musica ma il risultato in forma canzone sia mediocre. La prima cosa che colpisce l’ascoltatore è sempre il suono, le parole e l’attenzione per le parole costituiscono comunque un passaggio successivo. Credo sia giusto dare dignità a ciò che si dice, ma è un giudizio innegabilmente soggettivo. Resta il fatto che la gente in generale, almeno quella che puoi trovare in pub o eventi vari, spesso non è lì per te, nè vuole sentire “sermonare” qualcuno o cantare qualcosa di diverso da Gigi D’Alessio (che secondo il mio personalissimo parere rappresenta il trash). Ci sono invece magari posti che vengono frequentati da gente che è già in partenza interessata a sentire qualcosa di diverso, nel senso di personale (il concetto di diverso o nuovo in sè infatti è ormai superato secondo me...). Sarebbe bello attirare l’attenzione anche di un pubblico standard da pub con qualcosa di tuo, personale e qualche volta succede. Ma anche quando non dovesse succedere, ognuno sarà sempre libero di fare il proprio...soliloquio!;)
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