Helldorado: non si ferma il viaggio rock dei Negrita
di: Simone Tricomi
Impegnato, militante, celebrativo, dal sound rinnovato, latino, rivoluzionario. Ognuna di queste definizioni è riduttiva nei confronti di Helldorado, che è semplicemente un gran bel disco. Impegnato, militante, celebrativo, dal sound rinnovato, latino, rivoluzionario. Ognuna di queste definizioni è riduttiva nei confronti di Helldorado, che è semplicemente un gran bel disco.
La band toscana fa sul serio fin dall’attacco davvero esaltante di “Radio Conga”. Una babele di suoni e colori per questo grido da anarchici dello star system (“le rockstar vestono chic”). E’ inutile nasconderlo, i Negrita non hanno paura di rispolverare quello che una volta veniva definito rock impegnato, probabilmente lo spauracchio di qualsiasi discografico si appresti a lanciare un prodotto sul mercato. Sarà forse anche per questo che come singolo di lancio è stata scelta “Che rumore fa la felicità?”, una mosca bianca come temi e sonorità e forse il pezzo più debole dell’album.
Non è neanche disco per nostalgici fedeli alla sacra convinzione che un gruppo non deve mai cambiare direzione (siamo lontani anni luce dai successi commerciali in stile Mama Maè e Magnolia). I Negrita combinano rock e percussioni, trombe (grande apporto di Roy Paci su cinque dei dodici brani del disco) e ska, punk e musica nera. Non hanno paura di evidenziare le loro influenze musicali, che spaziano da Manu Chao fino ai Clash. E’ proprio la band di Joe Strummer (a cui il gruppo dedica un divertente commiato a fine disco: “Brother Joe”) ad aleggiare con la propria ombra sul disco (ascoltare “Salvation” per credere).
E così si passa da “Il libro in una mano, la bomba nell’altra”, feroce critica al mondo della chiesa e del Vaticano in particolare, alla celebrazione dello spirito vagabondo di “Malavida en Bs.As.”.
Non manca l’attualità italiana ne “Il ballo decadente” mentre il brano più convincente sembra essere “Muoviti”, manifesto del libero pensiero e della libertà d’azione, una canzone perfetta per i live (“l’anima del mio popolo che danza brucia l’odio e l’ignoranza”).
La produzione del fido Fabrizio Barbacci è praticamente perfetta, i suoni (in particolare le percussioni) sono da esportazione ed il disco non sfigurerebbe oltremanica e oltreoceano. Insomma, i Negrita hanno fatto centro ed i testi, mai così maturi, lo stanno a dimostrare. ...Educa un bambino, avrai un uomo in più, educa una bambina e creerai una tribù...… non sarà De Andrè ma raramente la discografia italiana degli ultimi anni ha toccato vette così alte di poesia.
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