Il ritorno sulla scena degli Ustmamo' con Duty Free Rockets raccontato da Luca Alfonso Rossi.
di: Adila Salah
A 12 anni di distanza dal loro ultimo lavoro, incontriamo i nuovi Ustmamò. Metà della band che fu, chitarra alla mano, sonorità folk e testi in inglese. Ne nasce un lavoro che mette d'accordo tradizioni popolari con le radici dell'oltreoceano. A 12 anni dal loro scioglimento, incontriamo i nuovi Ustmamò. Luca Alfonso Rossi e Simone Filippi: metà della band che fu, chitarra alla mano, sonorità folk e testi in inglese. Ne nasce "Duty Free Rockets" un lavoro che mette d'accordo le tradizioni popolari italiane con le radici dell'oltreoceano.
Luca Alfonso Rossi e Simone Filippi. Ecco gli Ustmamò come li ritroviamo a 12 anni dallo scioglimento. Cosa è successo dal 2003 ad oggi?
Troppe cose, ci vorrebbe un anno a metterle in fila tutte. Tra le più importanti direi le nascite dei nostri figli, nel 2006 se non ricordo male abbiamo pure vinto i mondiali di calcio, Materazzi ha fatto goal ed è morto Syd Barret.
Perchè avete deciso di mantenere il nome nonostante l'attuale progetto sia completamente nuovo a partire dalla formazione fino alle sonorità ?
Primo perché questo nome per me è molto importante, c’ho messo una vita a trovarlo alla fine degli anni 80 e non lo cambierò mai, non farò mai un'altra band mia o dischi col mio nome, sono più che fedele alla linea. Secondo, perché fino all’ultimo, pensavo sarebbero rientrati tutti e quattro gli Ustmamò. Terzo, perché l’approccio è sempre quello degli Ustmamò. Fidati, io c’ero!
Cosa ne pensa Mara?
Ha capito che ero molto determinato, che avevo voglia di farlo, ma sul suo coinvolgimento ha sempre detto no, svariate volte, in tempi diversi. Non chiedermi perché. Ha nuovi progetti musicali, Dio Valzer e le Falistre che, secondo me, sono fortissimi, le canzoni del repertorio popolare e anarchico sono molto ben scritte ed emozionanti.
Ha ascoltato "Duty Free Rockets" finito e tutto sommato mi ha fatto una buona recensione, poteva andarmi peggio. Naturalmente lei avrebbe cantato in Italiano, con il genere “americana” non va molto d’accordo, anche se io penso possa esserci una connessione tra brani popolari italiani, americani, irlandesi; radici comuni, parentele.
Pensate di potervi riunire in formazione completa un giorno?
Mi auguro di si ma a questo punto va bene comunque.
Chiederò a Mara di cantare nel prossimo album, lo farò una decina di volte almeno. Deciderà lei e in ogni caso le vorrò sempre bene.
Con Ezio ci vediamo e suoniamo, il suo problema principale è trovare il tempo per fare questa cosa.
Ho anche la sensazione che uno escluda l’altro, quindi diciamo pure che gli Ustmamò sono Luca Rossi e Simone Filippi .
Veniamo al nuovo lavoro: partiamo dalla copertina dell'album che fotografa un'immagine di guerra. Qual è il messaggio?
Nessun messaggio. E’ un mix tra un western tipo The wild bunch/Pat Garrett e un classico di guerra. Rappresenta solitudine, paura, disperazione e forza, libertà. Il mio soldato non è un carnefice, più probabilmente vittima. La title track parla di questo soldato esploso su una mina da qualche parte in Afghanistan e alcune parole del testo sono sue, è una storia vera.
E la scelta del titolo? "Duty free rockets"...ho letto che siete stati molto influenzati dalla situazione israelo-palestinese e da quanto successo a Gaza nello scorso anno...
A me spesso sembra di vivere in un Duty Free Rockets.
L’ho letto su un quotidiano americano nell’ estate del 2014, ero in cerca di parole e storie. A pronunciarlo era il ministro alla strategia di un paese mediorientale ma non capivo se si riferisse a una zona franca in territorio di guerra, un corridoio umanitario o una zona piena di armi e razzi da fare esplodere … poi, visto la quantità di razzi lanciati ho intuito che non c’era differenza.
Vedremo mai la soluzione del conflitto? Cosa può essere fatto?
Noi scriviamo solo canzoni … in baracche e legnaie polverose.
Devi chiederlo alle popstar che governano il mondo ...
Le sonorità di questo nuovo lavoro sono completamente nuove rispetto al precedente sound degli Ustmamò. Qual è il percorso che vi ha portati verso il folk da chitarra alla mano davanti ad un fuoco acceso nel deserto?
Un percorso lungo 40 anni, un po’ di nausea verso certa musica italiana e intellettuali dei miei coglioni, ma specialmente la voglia di suonare alla vecchia, l’amore per le chitarre e gli ampli, la tecnologia anni 50, le valvole.
Da 15 anni soffro di vertigini posizionali ed anche questo influisce sul mio modo di fare musica.
Perché in inglese?
Appurato che Mara non avrebbe partecipato, ho provato a cantare e a scrivere parole in italiano.
Non mi piaceva quasi nulla di ciò che usciva e il significato dei miei testi massacrava la musica,diciamo che andavano in direzione diverse.
Poi, casualmente, ascoltando Skip James e Hambone ho pensato che potevo provare con l’inglese. Fortunatamente Simone è cresciuto in Usa e mi ha aiutato un casino.
Per me funziona, le songs uscite mi soddisfano, e comunque anche se è inglese le parole hanno un significato, o no?
E l'idea di inserire due cover nell'album come nasce?
Affetto verso quel modo di suonare e quell’attitudine.
Tornando sulle scene dopo 12 anni quali cambiamenti avete trovato nel panorama musicale?
Tornare sulle scene per noi ora vuole dire interviste e recensioni, spesso on line, quindi scene virtuali. Mi sembra cambiato principalmente questo modo di interagire con gli altri. Per il resto molto Bla Bla Bla fratello e condivisione !? In giro ci sono più trappole che topi.
La scena reale la riscopriremo con i concerti e mi auguro di farne perché il disco si presta molto.
Saremo sul palco io, Simone Filippi, Mirko Zanni e Mauro Zobbi.
Ma da ascoltatore, il panorama musicale mi sembra ottimo, io ascolto sempre tante cose, vado avanti e indietro nel tempo con la musica.
Grazie anche al nome Ustmamò portate con voi un bagaglio enorme che vi permette dei "crediti" in partenza, una sorta di lasciapassare. Per chi si avvicina ora alla musica come emergente e sconosciuto al pubblico cos'è cambiato?
Hai ragione, noi abbiamo una specie di lasciapassare o credito in partenza che deriva dal nome, ma penso che valga solo con qualche addetto ai lavori che ascolta i dischi. Di fatto, abbiamo ricominciato da capo, e pigiato reset, emergenti a 50 anni.
Gli emergenti di 20 anni hanno una loro forza, devono avere una loro forza motrice interna che li spinge a fare, altrimenti non hanno ragione di esistere. Anni fa si trattava di fare tanti concerti, ora è più complicato suonare ma abbiamo comunque tanti gruppi “emergenti”che suonano davanti a 2000 persone. In Italia si può rimanere emergenti anche tutta la vita che è sempre meglio che sprofondare.
Riguardo al vostro pubblico del passato? Credete di averne lasciato qualcuno per strada per acquistarne di nuovo?
Probabilmente si, ma sinceramente non m’interessa. Per certo so che molti diranno che questi non sono gli Ustmamò, che era meglio far uscire il disco senza il loro nome. Ma questo è ciò che si vede da fuori. Quello che accade nella nostra band lo sappiamo solo noi quattro. Io spero che questo disco piaccia, che qualcuno ci trovi del bello e ne tragga giovamento. Poi se avrò o no il beneplacito del pubblico degli anni novanta fa lo stesso...
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