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Recensioni |
Pubblicato il 13/07/2007 alle 11:45:34 | |
Ulan Bator – Ulaanbaatar (Jestrai Records 2007)
Dopo cinque dischi all’attivo è giunto il momento di un reso conto dei progressi svolti dalla band.
Dopo cinque dischi all’attivo è giunto il momento di un reso conto dei progressi svolti dalla band.
Sono passati 14 anni dalla prima formazione del trio francese, con sede presso la cosiddetta Guillotine, il loro studio nelle vicinanze di Parigi. Durante questo periodo, nei primi 5 anni, i pionieri francesi hanno registrato i primi tre album conosciuti in Italia come Poalrire, raccolta dei 2 primi e Végétale, usciti al tempo per il Consorzio Produttori Indipendenti.
Ulaanbaatar è una testimonianza unica degli anni novanta, dove Amaury Cambuzat e Oliver Manchino insieme al batterista Frank Lautignac, hanno sperimentato e creato il loro stile. Una raccolta, ovvero un viaggio in 21 tracce attraverso le quali scopriamo il lavoro della band sia dal vivo che in studio, con brani inediti e versioni demo mai uscite pubblicate prima. Un lavoro maggiormente strumentale o ancora sperimentale rispetto ai loro ultimi dischi, che porterà la band a lavorare band fautrici dl Krautrock come gli Art-errorists, i tedeschi Faust.
Basti ascoltare una canzone come Ursula Minor per comprendere quali meandri sperimentali erano esplorati nel 1996 dai tre parigini, che mettevano in primo piano il folle sassofono e le ritmiche claustrofobiche. Tale senso di inquietudine veniva comunque espresso in modo più chiaro nel secondo demo del 1994, dal quale sono tratte la terza Katatonia, debitrice dei Sonic Youth delle origini e Apt 18-A, che non disdegna l’Industrial degli Ottanta/Novanta. Meritano considerazione anche Bleu Electrique e Melodicart del 1998, nonostante mantengano viva la componente Kraut e quella Noise, riescono sicuramente a trasmettere sensazioni più innovative rispetto alle tracce del debutto discografico, perché i suoni anche in fase live sono studiati e l’approccio appare acido ma trascinante. Dopo la pubblicazione dei primi due album di studio infatti gli Ulan Bator sembrarono aver preso coscienza di quali fossero stati i loro punti deboli e cercarono delle vie inedite attraverso l’uso di nuove strumentazioni.
Poichè i due cd su C.P.I. sono ormai materia da bancarelle dell'usato o da fiere del disco, questo lavoro è un'occasione per scoprire il mondo degli Ulan Bator anche se non si comprende l’interesse che anche i collezionisti possano dimostrare nei confronti di una serie di brani registrati in un periodo ancora amorfo e piatto per la realtà francese.
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