|
Recensioni |
Pubblicato il 13/02/2010 alle 11:59:59 | |
Peter Gabriel. Scratch my back (Real world). Chiudendo gli occhi e imparando a sognare
Il ritorno dell'artista inglese con un progetto quanto mai particolare ed ambizioso: rileggere e reinterpretare 12 cover col solo ausilio di orchestra e voce. Un piccolo gioiello.
Ci sono i musicisti normali, coloro che entrano nel vortice disco/tour/disco/tour e si tengono alla larga dai rischi dello sperimentare.
Poi ci sono gli artisti. E sicuramente, quando parliamo di Peter Gabriel, entriamo nel campo dell'arte pura. Libero da ogni sorta di schemi e preconcetti, capace di far passare dieci anni fra un disco e l'altro, sempre impegnato ad inseguire progetti nuovi e stimolanti, stavolta l'ex Genesis ha puntato in alto con l'uscita di “Scratch my back”. Letteralmente “grattami la schiena”, è la prima parte di uno scambio in due atti fra gentiluomini, che vede Gabriel rileggere dodici canzoni di altrettanti artisti, e sarà seguito fra qualche mese da “I'll scratch yours” (io gratterò la tua), dove gli stessi artisti “saccheggiati” reinterpreteranno una canzone di Gabriel.
Trattandosi dell'istrionico folletto di Bath questo non poteva essere un semplice disco di cover. Niente chitarre, niente batterie, solo strumenti orchestrali e voce. Non solo, le canzoni sono state completamente “trattate” e stravolte, spesso arrivando anche alla depersonalizzazione melodica, diventando di fatto dei pezzi di Peter Gabriel.
Ascoltando “Street spirit”, dei Radiohead, si farà fatica a riconoscerne l'originale linea compositiva, ribaltatata da un Gabriel in stato di grazia e trasformata in un intimissima preghiera per piano e voce. Un disco coraggioso, assolutamente estraneo ad ogni discorso di tipo commerciale, lo dimostra anche il fatto che le canzoni scelte non sono, per la maggior parte dei casi, singoli di successo di grandi superstar mondiali, anzi dal cilindro escono perle di artisti quali Elbow, Bon Iver, The Magnetic Fields e Arcade Fire, ed è proprio la loro “My body is a cage” a rappresentare una delle vette del disco, grazie alla maestosità orchestrale unita ad un'interpretazione Gabrieliana da brividi.
L'unico successo planetario è “Heroes” di Bowie (l'unico a non aderire al progetto di scambio di canzoni. Sarà Brian Eno, co-autore del pezzo, a reinterpretare Gabriel), ma anche in questo caso il filo che collega l'originale alla nuova veste è sottilissimo, così come “Listening wind” (Talking Heads) sembra cucita apposta per la personalità vocale dell'artista inglese.
Gli arrangiamenti orchestrali sono mirati, mai debordanti, e accompagnano l'ascoltatore in un magico viaggio fra intimità ed esplosioni di intensità.
Ma sopra ogni cosa, oltre le canzoni, l'orchestra, l'azzardo compositivo, emerge il vero strumento capace di far vibrare ogni corda dell'anima... la voce di Peter Gabriel. 60 anni appena compiuti, l'artista inglese ha raggiunto un livello interpretativo senza eguali, dove con un solo sospiro riesce a penetrare il cuore dell'ascoltatore, dove la straordinaria profondità dei toni bassi fa da contrappunto alla potenza e la magnificenza dei vocalizzi più acuti.
Un consiglio. Infilatevi le cuffie nelle orecchie, fate partire la traccia numero 10 (Après Moi), chiudete gli occhi... scoprirete che sogno e realtà sono mondi davvero comunicanti.
Articolo letto 7925 volte
|