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Recensioni |
Pubblicato il 30/04/2009 alle 18:24:31 | |
Depeche Mode – Sounds of the Universe (Mute Records). Classe e mestiere, e la formula funziona ancora.
Sonorità che abbracciano un po’ tutta la carriera della band inglese e lezione di songwriting da parte dei guru dell’elettronica che escono con un’opera sicuramente non immediata, ma molto intensa.
Sonorità che abbracciano un po’ tutta la carriera della band inglese e lezione di songwriting da parte dei guru dell’elettronica che escono con un’opera sicuramente non immediata, ma molto intensa.
Sono passate due generazioni, canzoni, artisti ed infinite mode; intnato i Depeche Mode un discorso commerciale e di vendita ma punta ad entrare sottopelle, un lavoro che farà felici i fan più viscerali mentre scontenterà sicuramente chi vede i Depeche come un gruppo da juke-box.
Le dichiarazioni di un disco totalmente influenzato dai sinth di sapore antico sono vere a metà. L’apertura ruvida, di classe e profonda di “In chains” ed il ritmo incalzante ed ossessivo del singolo di lancio “Wrong” suonano più come i Depeche ultima maniera, e così un po’ tutta la prima parte che abbonda di schitarrate distorte e angoscianti e si muove sinuosa tra arrangiamenti che riportano più dalle parti di “Ultra” che di “Black celebration”.
Servono due gioiellini pop come “In Sympathy” e “Peace” per ricordarci gli splendori degli anni 80’ del gruppo. Mentre il ritornello mistico di "Miles Away" ed i riff di tastiera in “Jezebel” confermano la sensazione: è nella seconda metà del disco che i Depeche giocano pesante con la memoria e trasportano l’ascoltatore in un mondo sonoro caro ai fan della primissima ora.
Martin Gore firma 10 canzoni sulle 13 totali, e si conferma di diritto fra le penne più importanti della sua generazione nonché uno degli scrittori più abili a racchiudere nelle proprie canzoni la paura, lo smarrimento e il dolore di chi cerca la poesia in un mondo oscuro e pericoloso. Dave Gahan, da parte sua, non ha perso un briciolo del magnetismo che sa emanare con la sua voce.
Probabilmente i Depeche hanno raggiunto troppa bravura ed esperienza nello scrivere da aver perso qualcosa in spontaneità ed emotività e se si può imputare un difetto al disco è quello di muoversi complessivamente su livelli alti, senza però picchi assoluti di genialità.
Non andate cercando una nuova “Enjoy the silence” e nemmeno una “Precious”, ai Depeche Mode interessa l’opera nel suo insieme ed una certa continuità sonora e probabilmente non ha neanche senso chiedere alla band di sfornare ancora la canzone pop perfetta.
Che si conservino pure con lo stile e l’esperienza che traspare da questo disco… coi tempi che corrono va benissimo anche così!
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