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Interviste |
Pubblicato il 19/12/2003 alle 19:28:27 | |
Bruno Lauzi: ''Io estromesso perché brutto, scomodo e di qualità''
Lauzi è, con Bindi, Paoli e Tenco, uno dei fondatori della scuola genovese da cui nacque il cantautorato. Eppure oggi pochi sembrano ricordarsene. Lo abbiamo incontrato a Roma in occasione della presentazione de "Il manuale del piccolo esploratore"
Bruno Lauzi è un artista che ancora oggi ha molto da dire. Insieme a Paoli, Bindi e Tenco è il padre dei cantautori italiani: grandi personaggi come Baglioni (che ospitò per primo in televisione), Bennato, Vecchioni e Conte devono molto, se non tutto, a lui. Si può dire che certi artisti, senza il contributo di Lauzi e dei suoi colleghi degli anni ’60, neanche sarebbero esistiti. Oggi Bruno Lauzi è un cantautore ancora sulla breccia, che con l’etichetta D’Autore del grande intuitore Marco Rossi ha pubblicato un nuovo cd, “Il manuale del piccolo esploratore”, che comprende vecchi successi riarrangiati (fra cui “L’aquila” di Battisti e Mogol, “Genova per noi” e “Onda su onda” di Paolo Conte) e quattro inediti. Lo abbiamo incontrato a Roma, alle Messaggerie Musicali di Via del Corso, insieme agli altri colleghi della stampa e a… Mino Reitano!
Bruno, anche tu sei approdato alla D’Autore, che segue una filosofia ben precisa…
«Sì. Dopo essere stato molto deluso dal trattamento che mi hanno riservato le majors, ho scelto di aderire al progetto di Marco Rossi perché la D’Autore/Azzurra Music offre la possibilità di presentare i dischi in maniera non convenzionale, con un occhio anche ai prezzi. E se consideri che io sono genovese, di madre ebrea, capisci quanto questo per me sia importante. Alla D’Autore sono stato accolto con il rispetto che credo di essermi meritato in 40 anni di carriera. Rispetto che le majors non hanno mostrato nei miei confronti. Ecco perché non amo le majors».
Cos’è successo? Ti hanno estromesso?
«Praticamente sì. Oggi quelli che dirigono le majors si fanno condizionare dagli interessi delle radio, quando casomai — dal momento che le case discografiche sono proprietarie di cataloghi — dovrebbe essere il contrario. Pensa che mi è stato detto che non passavano le mie canzoni perché non erano “in linea con la radio”: ma cos’è, una questione politica, visto che si parla di essere “in linea” con qualcosa? Ma dai! Sono stato boicottato nei negozi: i pacchi con i miei cd sono tornati indietro dai magazzini di Alessandria senza che neanche fossero stati aperti. E per i concerti dal vivo non mi è andata meglio: sono stato scartato dal “Blue note”, noto locale jazz di Milano, “per ragioni di ordine generale”. Tutto questo mi ha deluso molto».
Non ti ha deluso, però, il jazz. Parliamo della tua collaborazione con grandi jazzisti come Filippo Gatti o Fabrizio Bosso: quest’ultimo compare anche nel tuo ultimo cd…
«Gatti è un uomo molto coraggioso. Ha avuto il fegato di usare un uomo libero come me: io, nell’ambiente in cui lui lavora, sono considerato un po’ l’Almirante della situazione. Bosso è un grande trombettista jazz; l’ho sentito in concerto con Cammariere: straordinario. Così gli ho chiesto di collaborare con me. Il jazz non puoi spiegarlo: non puoi dire cosa sia se non lo suoni».
E del tuo nuovo album, che si chiama “Il manuale del piccolo esploratore”, cosa mi dici?
«Questo disco è bellissimo. Ci sono canzoni di cui vado fiero: ad esempio, “Accontentati del mio amore”, che presentai a Sanremo un anno e mezzo fa. Risultato? Mi dissero che c’erano già due canzoni lente e che quindi la mia non andava bene. Non deve essere questo il criterio con cui giudicare un brano. Ecco perché dico che Sanremo non potrà che andare meglio, e in questo senso la direzione artistica di uno come Tony Renis, che ha esperienza e una carriera validissima alle spalle, mi rinfranca».
Quindi, con Tony Renis alla direzione del Festival, potresti anche tornare al Festival…
«Beh, anche se stimo molto Renis, io a Sanremo ci tornerei solo se avessi un pezzo valido da presentare, non certo perché c’è un direttore artistico che mi piace. Comunque non ho mai snobbato il Festival: negli ultimi 20 anni mi sono presentato almeno 15 volte. Il problema è che a volte si è preferito privilegiare qualcun altro che non fosse brutto, basso e con il morbo di Parkinson».
È stato a Sanremo anche un certo Lucio Battisti, del quale tu hai reinciso “L’aquila”…
«A parer mio, l’arrangiamento de “L’aquila” di Battisti che si sente in questo cd è persino più bello dell’originale. Raniero Gaspari ha fatto un lavoro eccezionale».
Secondo me è proprio tutto il disco ad essere di gran classe…
«Io credo molto nel lavoro del musicista e sono convinto che si debba fare questo mestiere con passione e rispetto del pubblico: ci sono troppi album, oggi, in cui si salvano solo due o tre canzoni, e il resto è un riempitivo di scarso valore. Ascolti pezzi che ti fanno dire: "Ma come diavolo è venuto in mente a quello lì di incidere una cosa simile?!". Tutto ciò non va bene. Siamo circondati da finti artisti, finti cantanti. Mancano gli autori, quelli in grado di scrivere una bella canzone. Vedi quel signore lì in fondo (mi indica il suo amico Mino Reitano, presente alla conferenza in mezzo agli altri giornalisti, n.d.a.)? Quel signore è un grande compositore, un gran melodista. Esistono oggi talenti come lui? Io ho sempre fatto musica di qualità, e sicuramente anche ciò mi ha penalizzato nel corso degli anni».
Sei anche uno che non le ha mai mandate a dire...
«No, infatti. Ho sempre detto in faccia ciò che penso. E per questo sono sempre risultato scomodo».
Ieri (mercoledì 17 dicembre, n.d.a.) c’è stata la conferenza stampa per festeggiare i cinquanta anni della Rai, e si è parlato anche del grande ruolo che ha avuto la tv di stato nel veicolare la cultura. Tu cosa ne pensi? Credi che in questo discorso possa essere compresa anche la musica?
«Io dico solo che oggi i programmi di musica non esistono più. Ho apprezzato il memorial Alex Baroni di qualche tempo fa, ma poi mi sono chiesto: perché non è stato fatto anche un memorial Umberto Bindi? Credo che oggi la Rai non abbia l’intelligenza di chiamare gli artisti a fare gli artisti».
Comunque Bruno Lauzi è sempre qui, nonostante tutto!
«Certamente. Gino Paoli e Ornella Vanoni faranno l’anno prossimo una tournée insieme, e alla fine dello show canteranno una canzone scritta da me. Poi c’è questo album, i cui quattro inediti dimostrano che sono ancora in pista alla grande. Ascoltare per credere! E infine c’è anche un’altra cosa che ritengo molto importante, e della quale io per primo mi sono stupito: rispetto al passato, la voce mi è aumentata del 30%».
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