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Rumours |
Pubblicato il 14/06/2013 alle 17:15:30 | |
Auguri a Sergio Endrigo, autore di memorabili canzoni: il 15 giugno avrebbe compiuto 80 anni
Un omaggio ad un grande cantautore nel ripercorrere la sua parabola artistica, dagli esordi ai successi di Sanremo fino alle canzoni per i bambini, la collaborazione con i cantanti brasiliani per arrivare agli ultimi anni della carriera in ombra.
Un omaggio ad un grande cantautore nel ripercorrere la sua parabola artistica, dagli esordi ai successi di Sanremo fino alle canzoni per i bambini, la collaborazione con i cantanti brasiliani per arrivare agli ultimi anni legati all’isolamento discografico e alla malattia. La battaglia della figlia per fare ricordare un protagonista della musica e della cultura italiana.
E’ lo stesso cantautore a raccontare in sintesi la sua carriera, in una intervista rilasciata qualche anno prima della scomparsa per la fanzine “Chez Mimì” dedicata a Mia Martini: ‘Nei primi anni '60 ho cantato in diversi night club di Milano ed è stata una esperienza divertente. Successivamente, sono riuscito ad avere un contratto con la Ricordi per la quale incidevano Paoli, Bindi, Tenco.
Ho cominciato a comporre con l'ausilio di una chitarra e sono nate “Bolle di sapone”, “I tuoi vent'anni”, “La brava gente”. Poi, sono passato alla Rca e sono arrivati i miei primi successi: “Io che amo solo te” e “Teresa”. Per non avere imposizioni, visto che alla Rca volevano che io, vicino allo stile di Jacques Brel, cantassi anche la rumba, ho firmato con la Fonit Cetra.
Ho partecipato a vari Festival di Sanremo, nel '67 con “Adesso sì” (ripresa anche da Lucio Battisti, n.d.a.), nel '68 ho vinto con “Canzone per te” in coppia con Roberto Carlos, venuto dal Brasile perché in Italia nessuno voleva cantarla, neanche la Zanicchi, perché era una canzone melodica mentre andava di moda il beat. Nel '69 e '70 ottengo un secondo e terzo posto con 'Lontano dagli occhi' e 'L'arca di Noè'.
L'ultimo mio successo discografico risale al '74 con “Ci vuole un fiore”. Tra i miei lavori più interessanti vi è “La vita, amico, è l'arte dell'incontro”, omaggio al grande Vinicius De Moraes, con lui ho realizzato un album per i bambini tutto dedicato agli animali : “Il pappagallo”, “La pulce”, “L'anatra”, con i testi tradotti da Sergio Bardotti.’
L’anno dopo realizza un album interessante passato all’epoca inosservato: ‘Nel '75, prosegue Endrigo, per “Canzoni Venete” serviva una donna che interpretasse due canzoni, visto che sia io che Mia Martini eravamo entrambi alla Ricordi, abbiamo duettato insieme in “O Dona Lombarda” e “Cecilia”. Con Mimì abbiamo avuto un ottimo rapporto. Mi ricordo, anni fa, un incontro a Cefalù in Sicilia, ad una serata organizzata da Rizzoli con parecchi cantanti, io sono arrivato un po’ in ritardo, era una grande sala all'aperto con gli ombrelloni di paglia sopra i tavoli pieni di gente. Lei, invece, stava in un tavolo da sola, io sono andato là, mi sono seduto vicino a lei, mi ha abbracciato. La cosa più drammatica che può succedere ad una artista è quando si dice che porta jella, è una vergogna incredibile, assoluta’.
La foga con la quale difende in maniera appassionata e sincera la collega è confermata nell’ultima intervista concessa nel 2004 a Michele Bovì per la rivista “VivaVerdi” nella quale ripercorre i suoi 50 anni di carriera, iniziata a Venezia nel 1954: ‘Mia Martini pagò una parcella terribile per gli effetti di quella maledizione.... Uno stato di emarginazione totale: impresari, discografici, colleghi, molti sogghignavano partecipando a quel gioco circolare di calunnie dettagliate, altri si dimostravano realmente impauriti dal contatto anche soltanto visivo con quella povera ragazza marchiata come dispensatrice di calamità. Restavo fuori dal coro e insultavo i coristi quando mi capitavano a tiro. Cercavo di trasmetterle solidarietà, l'affetto per l'essere umano fragile, la stima per l'artista tangibile’.
Anche Endrigo era stato in qualche modo colpito dall’ imitatore Alighiero Noschese, con alcune macchiette nelle quali veniva messo in risalto l’aspetto dell’uomo che non sorride mai. La goccia fatidica arriva, raccontata dallo stesso Endrigo: Nell’ennesima parodia televisiva, la canzone presa di mira diventò “Ci vuole un fiore” e sempre circondato da ballerine in vedovanza, Noschese mi rappresentò cantando: “Per far la bara, ci vuole il morto”. Troppo! Con me in quel momento c’era Sergio Bernardini, il patron della Bussola in Versilia. Sapevo che qualche sera dopo avrebbe ospitato proprio Noschese. “Digli che se riprova a dipingermi come il protagonista della Patente di Pirandello appena lo incontro gli spacco la faccia!” E da quel giorno Alighiero…dimenticò di inserirmi nel suo repertorio…”. Ho il Terrore della nomea di menagramo. Per un artista equivale alla morte civile.’
Sul suo metodo di scrivere e comporre, rivela: ‘Non so da dove venisse l'ispirazione delle mie canzoni, io credo che affondassero nella mia malinconia austro-ungarica che ha qualcosa in comune con la saudade brasiliana: la consapevolezza della perdita dentro l'intensità di una emozione. Scrivo alla chitarra. Parole e musica assieme. Il testo è fondamentale per stimolare la mia creatività. Se compongo soltanto la musica poi le parole non mi vengono più o mi fa difetto l’abilità per adattarle alla melodia. Accadde una volta a Napoli: scrissi di getto una traccia musicale che mi sembrava deliziosa. Non persi tempo a cercare le parole, telefonai a Sergio Bardotti che confezionò rapidamente un testo altrettanto ammaliante: “Te lo leggo negli occhi”. Divenne un successo per Dino. La sua versione era perfetta, cosa avrei potuto aggiungere io a quel brano? Sono contento che l’abbia inciso recentemente Franco Battiato’.
Già negli ultimi anni di vita e di carriera il cantautore istriano aveva dovuto fare i conti con due grandi ostacoli: da una parte le case discografiche che non investivano più, in termini di promozione e distribuzione, sui suoi lavori e dall'altra i problemi di udito che compromettevano, a fasi alterne, la sua intonazione.
I successi, la conquista del mercato discografico sudamericano, le frequentazioni colte dei testi di Ungaretti, Pasolini e Vinicious De Moraes sembravano un lontano ricordo. Endrigo ne soffriva.
Significativo il suo sfogo: ‘Qui in Italia vige solo la filosofia dell'usa e getta. Non frequento più questo mondo, l'industria ha privilegiato i ragazzini e le ragazzine. Ho realizzato tutti i miei sogni, centrato i bersagli. Neanche troppo rammarico per i miei ultimi quattro album, ( 1981 – “...E noi amiamoci” (Fonit Cetra, LPX 95) 1982 – “Mari del sud” (Fonit Cetra, LPX 111) 1986 – “E allora balliamo” (RCA Italiana, PL 70985) 1988 – “Il giardino di Giovanni” (New Enigma, 2 NEM 47303) strangolati da promozione inesperta e distribuzione inadeguata’.
Ed esprimeva soddisfazione verso i giovani artisti che spesso lo omaggiavano: ‘Mi coccolano con manifestazioni di stima, allestiscono concerti che esplorano il mio repertorio, incidono i miei brani, compilano album in mio onore: sono artisti già affermati come Vinicio Capossela, Sergio Cammariere, Tosca, Cristiano De André o in crescita inarrestabile come La Crus, il Parto delle Nuvole Pesanti o Simone Cristicchi che mi ha inoltre invitato a una partecipazione in voce per il suo ultimo lavoro (“Questo è amore” in “Fabbricante di canzoni”, n.d.a.).
Ecco, quando ti senti di aver raggiunto il termine della strada e ti ritrovi circondato da una compagnia così vivace e grata, perdoni alla vita tutti gli oltraggi, anche il più invalidante, quello del deficit uditivo che a metà degli anni ’80 mi costrinse a ritirarmi dalle scene. Ero al festival di Sanremo, nel 1986: alle prove la mia esibizione era apparsa più che decorosa, poi in serata davanti al pubblico e alle telecamere dell’eurovisione, all’improvviso, il male. Non sentivo più l’orchestra e leggevo il disagio negli occhi del direttore mentre la mortificazione mi stringeva alla gola. Non sono mai guarito del tutto, ma ci sono state fasi sensibili di miglioramento, durante le quali sono tornato ad esibirmi e ad incidere’.
Dopo nove anni di lontananza dalle scene discografiche, nel 2003, inaspettatamente, pubblica “Altre Emozioni”, nuovo lavoro discografico che prende nome dall’unico brano inedito della raccolta. ‘Una confessione, un testamento spirituale, commenta, delle cose che sono accadute, e di quelle che si spera possano ancora arrivare, si spera sempre in nuove emozioni, non solo per se stessi, ma per tutti in generale…’. Arrangiamenti raffinati e grandi partecipazioni come quella di Rossana Casale , e anche duetti con la sua unica figlia, Claudia per ripercorrere, rispettivamente, la prima e l’ultima parte della sua carriera con alcune tra le 160 canzoni scritte, ‘ma senza poter dire quale sia la preferita’ – spiegava – ‘perché un padre ama anche i figli scemi’.
Nel 2004 realizza un altro suo grande progetto, l’ultimo a cui può dedicarsi, riesce ad incidere e pubblicare “Cjantant Endrigo” in lingua friulana, con gli adattamenti di Alberto Zeppieri, alcune canzoni del suo repertorio, tra cui: “1947”, “Altre Emozioni” e “Il soldato Napoleone” con il testo di Pier Paolo Pasolini, precedentemente musicato e inciso da lui nel 1966, censurato all’epoca dalla Rai.
Sua figlia Claudia, che vive in quella che era la casa del cantautore, evidenzia che il nome di suo padre sembra finito nel dimenticatoio: nessun disco, nessuna riedizione, nessun tributo, nessuna apparizione postuma manifestando più amarezza che rabbia: ‘La sua vena artistica – spiega con toni dolenti - non si era mai esaurita. Ad un certo punto, però, hanno smesso di promuoverlo e di distribuire i suoi lavori. Quindi, ci sono tante cose meravigliose che mio padre aveva realizzato ma che in pochi conoscono perché a quasi nessuno è stata data occasione di scoprirle e di poterle apprezzarle. In radio non trasmettono le sue canzoni, non esiste una sua biografia pubblicata da un grande editore, non è possibile acquistare un cofanetto con la sua opera omnia e non c'è alcun premio a lui dedicato
Un altro desiderio è che gli artisti italiani si mobilitino per un omaggio a uno dei più amati cantautori italiani. ‘Mio padre ha vissuto a Roma per tantissimi anni ma questa città non fa nulla per ricordalo. Mi piacerebbe vedere un grande concerto, a lui dedicato, magari al Circo Massimo. Sono tanti gli artisti che amano il suo repertorio e sarebbe bello se tutti insieme salissero sul palco per un evento i cui proventi potrebbero essere destinati, ad esempio, agli enti che si occupano di animali abbandonati’.
In attesa di questa attenzione mediatica, a conclusione di questo nostro omaggio, riportiamo un pensiero-sintesi di un uomo conosciuto per la sua serietà e rigore, ma che sa essere anche autoironico: ‘Parlando di me, mi piace la calma, la buona tavola, i buoni amici, i buoni libri, la pesca subacquea, i francobolli, le armi antiche, gli animali, i luoghi non affollati. Non mi piacciono i dritti, i disonesti, i dilettanti presuntuosi, le salse agrodolci, i seccatori, gli invadenti, gli animali che mordono. Oggi sono riconoscente verso il mio pubblico e i miei simili in generale e mi piacerebbe dire che l’Uomo che Non Ride è comunque un Uomo Felice.
Amen’.
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