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Recensioni |
Pubblicato il 05/04/2006 alle 20:02:39 | |
Pacifico – Dolci frutti tropicali (Radiofandango)
Gino De Crescenzo, in arte Pacifico, già chitarrista e cofondatore dei Rossomaltese, al suo terzo disco conferma di essere un raffinato cantore delle sottili inquietudini del quotidiano, rasserenate dall’ironia e dalla riflessività della maturità.
Ci sono artisti che cantano la più incontrollabile e magmatica disperazione in salsa gotica e teatrale; altri invece fotografano la serenità imperturbabile del loro spirito quieto e felice. Pacifico invece è cantore delle inquietudini sottili del quotidiano, che affiorano ad increspare imprevedibilmente la superficie cristallina del suo mare interiore. L’ironia e il disincanto dei suoi quarantadue anni lo mantengono al riparo dal dramma, ma una sensibilità rara e profonda, che è la lente di ingrandimento che eleva al rango del poetabile le piccole ansie e i piccoli oggetti del quotidiano, lo tengono altrettanto lontano dalla morsa e dal morbo del cinismo. In questo terzo disco, il primo pubblicato da Radiofandango, etichetta diretta da Stefano Senardi che fa capo alla Fandango di Domenico Procacci, Gino De Crescenzo sciorina i frutti succosi delle variegate stagioni dell’animo, sospeso tra turbamenti e sete d'infinito. Se le riflessioni del precedente denso lavoro, “Musica leggera”, si appuntavano sulla fugacità della vita umana, questo album sembra concentrarsi sulla durata interiore dei sentimenti e la misura dell’inesorabile trascorrere del tempo diventa l’attesa, che proietta il cuore al di là dei limiti del finito nel tentativo vano ed infinito di trovare e fermare ciò che conta davvero. E’ lo spirito di “Punti fermi”, che tra indie-pop elettroacustico e cantautorato tramato dell’elegante pianoforte di Diego Baiardi, contrappone l’affannosa e pure paziente ricerca dell’amore e l’illimitato slancio dell’animo oltre il tempo finito e reale ai piani, i progetti e i pensieri razionali di chi accumula e costruisce ciò che il tempo distrugge. Non dissimili sono anche le atmosfere del capolavoro “L’inverno trascorre”, con la voce in primo piano sul lento, maestoso e cinematografico crescendo degli archi dell’Edodea Ensemble di Edoardo De Angelis, scritti e diretti da Piero Milesi; i violini sembrano trascrivere l’incedere rallentato del tempo nella stasi dell’inverno ma anche, tra i lancinanti ed intensi inserti della chitarra elettrica di Silvio Masanotti, disegnare l’infrangersi imperscrutabile della linea delle onde osservata dallo stimato Baricco di “Oceano mare”. Fermo e inattivo è anche lo sguardo che, gonfio di speranze, in “Da qui” scruta il libero volo di un aeroplano da una dimensione microscopica e casalinga, intessuta di suoni scordati e minimali, tra l’orchestra di giocattoli dei samples di Tommaso Colliva e l’ukulele di Gaetano Cappa (Istituto Barlumen); dalla musica da carillon si passa al ritornello più disteso e cantautorale affidato a Samuele Bersani, che descrive l’unico movimento effettivamente possibile, quello programmato e arrugginito del treno. La ciclicità dell’ordinario si ostina a ridurre “l’infinito a pastiglia o pozione”, a inscatolare e minimizzare sogni e ideali, che baluginano in un orizzonte la cui linea è impossibile da raggiungere: così la pianistica “L’incompiuta” ricorda (con leggera ironia ma anche con il peso dell’amarezza) che non si raggiunge mai il traguardo definitivo, mentre la deliziosa prima ghost-track “L’elefante”, in cui lo splendido sassofono di Daniele Comoglio imita anche il barrito del pacato e pesante animale, non può che narrare l’impossibilità di fuggire da un pantano che si fa sempre più compatto e dare voce al grido ingoiato e represso di quella rabbia che l’esitazione ammutolisce. La vita è solo uno stanco trascinarsi di giorni senza riscatto? No, per Pacifico la ricetta salvifica è l’ironia che nella seconda ghost-track “Made in Cina” toglie tragicità al dolore in un divertissement che ricorda la “Senza te” del primo album del cantautore. I dubbi e le inquietudini giornaliere sono affidate ai fondi di caffè nel brano dedicato al risveglio e cantato con Petra Magoni, mentre il segreto della serenità sembra essere liberarsi dalle aspettative nel pop venato di jazz e quasi di reggae della primaverile “Nuvola”, che, con l’ottima base ritmica di Camillo Bellinato (basso) e Johannes Bickler (batteria), gli arpeggi di chitarra acustica e il piano di Alberto Tafuri pare strizzare l’occhio a Sting, Fabio Concato e persino a João Gilberto (ricordate il “papà napoletano, un quarto brasiliano” del brano di presentazione “Pacifico”?). Medicina di ogni malattia dell’animo è poi quello che in “Ricomincia ogni giorno” Pacifico definiva “curarti e darti da bere, senza mai darlo a vedere”, una molteplicità di attenzioni e cure silenziose, degne del vero amore altruista, per cui l’attesa è mettere da parte ogni richiesta, esigenza o pretesa, per seguire con discrezione il percorso vacillante e sofferente dell’amata. E’ questa infatti la filosofia dell’ispirato e penetrante intimismo de “L’altalena”, che sfoggia la linea discreta e delicata della chitarra solista di Masanotti, il flicorno di Roy Paci, il sapiente e misurato piano di Baiardi e il ritmo cadenzato degli altrettanto stimati e fidati Bellinato/Bickler. Anche il dolore vischioso del nuovo eroe solitario che va ad affiancare King Kong nella personale galleria di personaggi inquieti ed emarginati di Pacifico, quello del Polifemo del brano omonimo, prepotentemente onirico e immaginifico, rallenta ed evapora nel cielo: il tetto di stelle che diventa paracadute del tuffo in uno squarcio di lirismo incantato nella romantica “Dal giardino tropicale” è qui infatti linea di fuga dei sospiri del protagonista; Polifemo vede nel “contar le stelle” un modo per annullare finalmente la corsa del tempo in un’estatica contemplazione, che non ha niente a che vedere con le immagini ipnotizzanti della tv/cattiva maestra di “Ferro e limatura”. Come già in “Musica leggera”, l’approdo della scrittura di Pacifico è la serena consapevolezza della leggi della vita; la sua versificazione però si è fatta intanto più semplice, sicura e immediata, mentre la musica, dopo la libera sperimentazione del primo disco e la suggestione delle sonorizzazioni studiate e delle sonorità cantautorali del secondo lavoro, si apre a sonorità più ricche ed elaborate, tra abissi di archi,voli poetici e la concreta polvere della strada per un’impronta musicale più simile alla rodata costruzione del suono della sua musica live e on the road. Giunto al terzo album, il suo cantautorato si conferma ricco di stile e carico di un buon potenziale emozionale, con risultati che per atmosfere ed equilibrio tra arte e comunicazione ricordano l’augurio che a Sanremo 2004 gli fece Tony Renis, quello di diventare il De Gregori del 2000.
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