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Pubblicato il 23/03/2011 alle 17:17:41
Awa Ly debutta in italiano con le parole prestate dai suoi amici cantautori
di Martina Neri
Esce oggi, 23 marzo, su tutte le piattaforme digitali “Parole prestate”, un ep completamente in italiano dell’artista franco-senegalese Awa Ly che si cimenta con le asperità e le insidie nascoste nell’ interpretare canzoni nella nostra lingua.

Esce oggi, 23 marzo, su tutte le piattaforme digitali “Parole prestate”, un ep completamente in italiano dell’artista franco-senegalese Awa Ly che per la prima volta, dopo la pubblicazione di “Modulated” , suo debutto discografico in inglese e dal progetto in francese “Chantons!”, si cimenta con le asperità e le insidie nascoste nell’ interpretare canzoni nella nostra lingua.

“Sì, esce oggi la versione digitale.” Ci dice Awa mentre prepara una tisana nella sua accogliente casa romana. “Non ci sarà la stampa fisica del cd per tanti motivi: il principale è che non ho cercato neanche un distributore, l’idea è di fare un regalino a costo bassissimo (4 euro) tra il primo album e il secondo sul quale sto lavorando, senza fretta e che presumibilmente sarà pronto per il 2012. “Parole Prestate” lo abbiamo registrato in modo casalingo, tra amici, con i tempi di ciascuno. L’ho pensato più come una strizzata d’occhio, una cosa che mi piaceva fare al di là del legame che ho con gli autori ed i musicisti che ci hanno suonato. Volevo cantare in italiano, questi testi mi parlano e vedo che quando li propongo dal vivo ricevo un feedback importante di cui all’inizio non mi rendevo conto.
Anche in Francia quando canto in italiano ho un riscontro forte, che va al di là della comprensione del testo. Ci sono tante canzoni in lingue che non capisco, ma che mi provocano molte emozioni; può sembrare ovvio da dire, ma non do per scontato che una canzone in russo mi possa parlare. La musica è un linguaggio universale. Mi sento fortunata a poter cantare in italiano.”

Nata a Parigi, ma di origini senegalesi, Awa vive a Roma ormai da dodici anni, ma fino ad ora non si era mai cimentata con l’italiano, avendo sempre dichiarato quanto fosse difficile per una straniera cantare nella nostra lingua: “E’ vero. La grande difficoltà della lingua italiana sta nella pronuncia di certe parole, di certe lettere. Le doppie consonanti , per esempio, per uno straniero sono un incubo. Ho avuto un’insegnante bravissima al liceo che mi ha dato delle buone basi. Ognuno di noi ha delle predisposizioni, io adoro le lingue e le ho sempre studiate. Al di là della pronuncia e del ritmo di certe parole, la cosa più complicata è riuscire a non sembrare esotica, né avere l’accento straniero marcato. Cantando queste canzoni ho cercato di non imitare e non esagerare nella tecnica vocale, lasciando più spazio possibile al testo, all’interpretazione e al significato. Voglio che le persone sentano bene queste storie.”

Che l’accento sia posto sui testi è chiaro sin dal titolo in cui “parole” è al centro di tutto. E le parole che tanto ha a cuore Awa non sono quelle, come ci si potrebbe aspettare, dei padri della canzone italiana, ma quelle dell’ultima generazione di cantautori: Roberto Angelini, Francesco Forni, Diana Tejera, Claudio Domestico (già frontman degli Gnut), Massimo Giangrande. “È così, ci conosciamo da tempo e loro sanno che li ammiro e ho tanto affetto per loro e le canzoni che ho scelto hanno un significato per me. Non volevo omaggiare l’Italia come qualcuno ha scritto, sarebbe stata una cosa troppo grossa, ma solo dare onore a queste canzoni. Omaggio i ragazzi e il loro talento anche se sono conosciuti molto meno di quello che dovrebbero. Personalmente non cerco di arrivare alla top ten di mtv, altrimenti dovrei fare un altro tipo di musica che, per ora, non è la mia. Mai dire mai,è vero, ma tenevo tantissimo ad omaggiare loro e a fare un piacere a me perché le canzoni che sto sentendo in questi ultimi anni sono le loro, nonostante De Gregori, De Andrè etc mi piacciano molto, mi sento più vicina al loro modo di scrivere. Volevo un disco che assomigliasse al mio tempo, al mio stato, una fotografia di questo momento. Ho scelto di fare una cosa molto semplice, ma che avesse come scopo principale quello di emozionarmi. Non ho cercato una produzione, siamo tutti produttori, ognuno per la sua canzone. La distribuzione avviene attraverso Fiori Rari, l’etichetta di Bob Angelini e Believe digital che permette di essere reperibile ovunque.

Sicuramente Awa avrebbe molte più possibilità di emergere se, ad esempio, vivesse a Parigi visto che in passato ha collaborato con artisti del calibro di Dominic Miller (chitarrista di Sting) e Tuck
e Patti.

“ E’ vero, tutti mi dicono: ma perché sei in Italia? Anche io, sinceramente, me lo sto chiedendo; ora stiamo suonando molto più fuori, perché ho richiesta. Anche all’estero, in Francia ad esempio, non è facile, c’è molta concorrenza ma mi dà speranza il fatto che il pubblico è più curioso, non si ferma solo a quello che va in tv o in radio, vanno a cercare le cose che gli piacciono. Qui si ha l’impressione che, nonostante tutto, il movimento che c’è sia ancora limitato e a Roma non siamo messi tanto male in confronto ad altre città grandi come Firenze, Bologna o Milano.
La cosa che dovrebbe cambiare qui a Roma è l’orario dei concerti, per permettere anche a chi si alza alle sette la mattina di vedersi una cosa. Se si inizia tardi si preclude a tanti la possibilità di vederti.
Per quanto riguarda le collaborazioni importanti hai ragione, però non ho mai voluto utilizzare questi contatti, forse a torto. A livello personale dovevo crescere e non bruciare le tappe, ho iniziato a cantare davanti a un pubblico solo cinque anni fa e mi rendo conto che sto crescendo, sto imparando un sacco di cose. Arriverà il momento in cui dovrò fare cose che abbiano maggiore visibilità, ma per ora sono stata molto veloce a fare certi passi.”

Tornando alle canzoni dell’ep si sente che la volontà non è quella di stravolgerle, sono tutte abbastanza simili all’originale.
“Il pezzo più stravolto è “Il mestiere di vivere” di Massimo Giangrande, per il resto siamo rimasti simili, abbiamo reso gli arrangiamenti più scarni per dare più spazio alla voce e al testo. “Fortuna” di Francesco Forni è un testo difficile, quello che mi ha dato più difficoltà in assoluto anche per l’interpretazione. E’ come se dicessi all’ascoltatore: stammi a sentire, ti sto raccontando qualcosa di difficile per cui ho bisogno che tu ti concentri con me. È un altro modo che ho di cantare, è un’altra frequenza diversa da quanto canto in francese o inglese. In italiano è più sul basso, tutte le canzoni hanno così un suono caldo, avvolgente.”

Ho notato che il cantato è sempre un po’ rallentato rispetto alla battuta.
“Sì, addirittura “Senso Primario” di Diana Tejera lo abbiamo rallentato, Diana stessa dice che le ho dato un altro punto di vista e questa è la cosa interessante: dare un altro significato alla stessa canzone. “Credevo male” è un regalo di Claudio Domestico, un autore che ho scoperto tramite Piers Faccini che ha co-prodotto il suo secondo album che esce ad aprile e questa canzone non è ancora edita. Tutto ciò dimostra la generosità di ognuno e che non c’è niente di commerciale dietro questo progetto.”

Questa sera Awa presenterà l’ep in concerto al The Place di Roma, alla presenza degli autori che queste canzoni gliel’hanno “prestate”, c’è una certa somiglianza tra voi?

“La cosa che unisce tutte queste canzoni è che sono state scritte durante la notte, nei momenti di insonnia o di incontro con i propri demoni. Si vede che nonostante il “lato oscuro” di chi le ha scritte io percepisco in loro un riscatto, non è pessimismo puro. Nei testi, in tutti e cinque i pezzi che ho scelto, c’è sempre un momento di speranza, una luce. Tutte hanno una melanconia di fondo, ma io ci metto le mie radici e vedo, anche nella vita, il “lato africano”: la redenzione, il lato positivo. Viviamo un momento buio, speriamo che ci sia, dietro l’angolo, la rinascita.


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