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Recensioni |
Pubblicato il 21/07/2014 alle 22:09:07 | |
Joan as a policewoman, Suzanne Vega e Cat Power. A Roma un palco per 3 stelle
Musica, Femminile Plurale. Il 20 Luglio all'Auditorium Parco della Musica occasione, unica, per ascoltare, nella stessa sera, tre facce del folk pop americano. L’asprezza, la raffinatezza e il wild side del folk piu' oscuro.
Musica, Femminile Plurale. Il 20 Luglio all'Auditorium Parco della Musica occasione, unica, per ascoltare, nella stessa sera, tre facce del folk pop americano. L’asprezza, la raffinatezza e il wild side del folk piu' oscuro.
La prima a salire sul palco di "Musica, Femminile Plurale", nella rassegna Luglio suona bene 2014, alle 21 in punto, è la 44enne Joan Wasser, che per il suo nome d’arte "Joan as a policewoman" si è ispirata alla poliziotta protagonista di una serie tv degli anni 70. Una carriera cominciata con gli studi classici, la sua, proseguita con la folgorazione per il punk e la new wave, caratterizzata dal costante amore per Joni Mitchell e Nina Simone e dalle tante collaborazioni e incontri, nel suo girovagare musicale, con Nick Cave, Rufus Wainwright, David Sylvian, Elton John, Sheryl Crow e poi con Franco Battiato, con il quale ha piu’ volte diviso il palco, e Manuel Agnelli, con cui ha inciso una intensa versione di Senza Finestra, dall’album Hai paura del Buio che gli Afterhours hanno reinterpretato con una serie di ospiti anche internazionali. La polistrumentista e songwriter che durante l’infanzia, trascorsa con la sua famiglia adottiva nel Connecticut, ascoltava Mahler ma anche Jimi Hendrix, suona i brani del disco che segna il ritorno alle origini e che si chiama appunto The Classic.
Disco con il quale ritrova una inedita leggerezza, mettendo – forse - da parte i tormenti dark e la malinconia attorno ai quali ruotavano i lavori ispirati alla morte della madre e del fidanzato Jeff Buckley. In tour per tutta l’Europa fino a novembre, passando per il palco dell’Auditorium , Joan alterna il violino, il suo primo strumento, la chitarra elettrica e le tastiere, accompagnata, in quartetto, da chitarra, batteria e moog. Indossa una tuta blu, i capelli spettinati, l’aria da post ribelle e un indelebile velo di tristezza nello sguardo. Nel suo set non mancano le code psichedeliche, omaggio alla New york dei Velvet Underground e del compianto Lou Reed con il quale ha più volte incrociato il suo cammino.
Si cambia registro, sound, atmosfera. La veterana delle songwriter americane ripercorre la trentennale carriera dall’ omonimo album d’esordio “Suzanne Vega” passando per “Solitude standing”, l'album che uscì nel 1987 e che valse alla cantante di Santa Monica un acclamato successo internazionale con le celeberrime “Luka” e “Tom’s diner”, fino al nuovo album di inediti dal titolo "Tales from the realm of the Queen of Pentacles", il primo disco dopo sette anni di silenzio, e anche il primo autoprodotto, lontano dai circuiti delle case discografiche. Il suo è il set piu’ minimale della serata ma anche il piu’ entusiasmante e convincente. Bastano una voce carismatica e due strumenti egregiamente suonati a far innamorare perdutamente il pubblico dell’Auditorium, quando la voce e’ quella di Suzanne Vega. Eleganza, stile e semplicità arrivano dritto al cuore di chi ascolta, che si tratti delle nuovissime e meno note ballate o dei grandi successi di due decenni fa. La formazione scarna ed essenziale esalta la voce inconfondibile, sempre sussurrata e perfetta, confidenziale e fluidamente narrativa della 55enne regina del pop-folk acustico che con le sue ballate intimiste ha aperto la strada a una nuova generazione di songwriters. Suzanne indossa un cappello a cilindro e imbraccia la chitarra acustica. La seconda chitarra disegna un tappeto sonoro da brividi, la batteria è appena accennata, ed è pura magia.
La chiusura è affidata a Cat Power. La 42enne songwriter di Atlanta Charlyn "Chan" Marshall torna all'AUditorium per suonare i brani del suo nono album “The Sun”, un’autoproduzione giudicata dalla critica il suo album migliore. L’ accompagna una band – fatta eccezione per il tastierista - interamente al femminile, composta da musicisti/e che sembrano personaggi di una fiaba ambientata in un bosco di elfi e fate. Belli, eterei, assorti, a partire dalla biondissima e algida chitarrista, la loro mente persa in chissà quale dimensione parallela. Chi conosce l’album ritrova qui un’atmosfera diversa. Le canzoni, che sul disco sono ariose e leggiadre, dal vivo diventano cupe, dark, plumbee, la musica resta sospesa, il cerchio non si chiude mai. Magnetica e imprevedibile, Cat passeggia sul palco, avanti e indietro, si muove nevroticamente, la voce roca e graffiante, nelle pause tra una strofa e l’altra sembra perdersi e ritrovarsi e la tensione si avverte, qualcosa la turba, problemi di ascolto nelle spie la disturbano per l’intera durata del concerto, lei si scusa a piu’ riprese, chissà di cosa poi, cerca il conforto della gente che la ascolta, senza nascondere la sua fragilità emotiva e il pubblico la applaude, adorante. E quando gli spettatori lasciano le sedie e circondano il palco in un virtuale abbraccio lei finalmente si scioglie, i tratti tesi del viso si distendono, il sorriso appare sul suo volto e per ringraziare i fan distribuisce tra loro le rose bianche di un mazzo che le è appena stato donato.
A mezzanotte in punto come moderne Cenerentole post punk, Cat e compagne lasciano il palco, mentre sulla cavea comincia a cadere una leggera pioggia d’estate.
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