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Interviste |
Pubblicato il 22/11/2009 alle 19:15:32 | |
Susanna Parigi, l'insulto delle parole e il coraggio di parlare
Le parole illudono, mentono, insultano. Scompaiono e riducono la tragedia in ripetizione di cifre. Susanna ci racconta L'insulto delle parole,un disco prezioso che cancella il gia' sentito con la semplice drammaticita' della musica vera.
Le parole illudono, mentono, insultano. Scompaiono e riducono la tragedia in ripetizione di cifre. Susanna ci racconta L'insulto delle parole,un disco prezioso che cancella il gia' sentito con la semplice drammaticita' della musica vera.
Come lei ce ne son poche. Susanna Parigi e' un uragano. La cantautrice toscana possiede la forza e il coraggio della parola che delimita il suo campo, senza paura di risultare audace, oscura o polemica. E’ una donna di cuore e di cervello, che ancora una volta parla. E questa volta parla delle parole, del tempo ridotto per pensarle, dell’insulto contro chi crede in qualcosa, del tentativo di zittire la riflessione da parte di chi forse si avvantaggia di produrre in larga scala passivizzazione e apatia che non conosce bellezza, ma diventa consumismo compulsivo. Sono questi alcuni dei temi che sono venuti a galla in questo colloquio con lei, sono questi alcuni dei temi delle canzoni del suo quarto disco, L’insulto delle parole, dieci canzoni di cui sei firmate in coppia con Kaballà, già autore di artisti come Carmen Consoli, Antonella Ruggiero e Mario Venuti. Ancora una volta Susanna raschia via la banalità del già sentito, per rinverginare l’aria e modellare il silenzio con il potere emozionale della sua voce accesa, elegante ed acuta, con il suono impetuoso e discreto assieme del suo pianoforte (poesia per musica e classicità che si fa magma di sentimenti quanto mai vivi e presente), con l’inquietudine trasparente degli archi dell’Arkè String Quartet. In un disco prezioso e curato, che ha la semplice drammaticità della musica genuina, tra delicatezza e ironia, c’è l’inganno della parola che illude, l’insulto alle parole, ormai inflazionate o mistificate, la lontananza della parola di una sofferenza straniera, che diventa puro numero, la parola-applauso, che acconsente al circo della dittatura e allo spettacolo di "streghe al rogo", "passerelle anoressiche" e "ciarlatani mediatici" ("L’applauso, la parola che uccide"). Undicesima traccia del disco un clip video che raccoglie le testimonianze di Pino Arlacchi, Corrado Augias, Lella Costa, Cesare Fiumi, Kaballa', Leonardo Manera, Andrea Pinketts e Bruno Renzi, a cui si aggiunge quella di Marco Travaglio sul sito di Promo Music, prima di ulteriori riflessioni sul tema dell’insulto della parola. Ecco come lo raccontano le parole di Susanna Parigi.
Un disco di parole, sulle parole e l’insulto delle parole…Cominciamo dalla title-track. Cosa suscita l’insulto delle parole? E’ credere in qualcosa che emargina, a prescindere da ciò in cui si crede? E’ la coerenza, la costanza, la forza dell’animo ad essere un motivo di derisione, perche' in fondo è bene raro da invidiare?
La protagonista della canzone "L’insulto delle parole", a costo di essere vulnerabile, di risultare ingenua o anacronistica, afferma di credere ancora in qualcosa e questo significa avere la consapevolezza che qualcosa sia stato offeso. Senza questa consapevolezza, penso sia difficile avere il segno della dignità e della moralita'. Mi sposto su un altro argomento…In un suo libro, il prof. Pino Arlacchi, che è intervenuto nella traccia-video del cd, si chiede perche' non ci sia la mafia in Sardegna: parla di questo sentimento di vendetta che loro hanno e che spesso noi pensiamo solo in senso negativo, ma che in realta' e' anche una capacita' di sentirsi offesi. La vendetta in quanto violenza ha tutti i lati negativi che conosciamo, ma agire di conseguenza al sentirsi offesi e' il contrario dell’agnosticismo etico che per es. e' tipico della zone in cui c’e' la mafia. Si fa di tutto perche' le persone non agiscano e siano immobili. Un altro tema importante di cui parla ancora Pino Arlacchi e' il "grande inganno" delle informazioni, secondo cui la catastrofe è vicina…
Arlacchi parla delle industrie della paura nella sua testimonianza, giusto?
Esatto… Si genera infatti una delle emozioni piu' potenti, la paura, che toglie energia ed immobilizza. Infatti e' facile pensare, in questo modo, “chi me lo fa fare di agire? Tanto va tutto a scatafascio”. Anche questo e' un insulto delle parole. Arlacchi dimostra appunto nel suo libro che genocidi, guerre civili, terrorismo, ma anche criminalita', delinquenza, statistiche alla mano sono in diminuzione, quindi si diffondono false informazioni. In piu' si tende a togliere tempo alle persone: non si arriva alla fine del mese e si fanno anche due lavori, oppure si lavora di più per comprare cose di cui non si avrebbe affatto bisogno. Si genera un circolo vizioso paradossale, perché abbiamo le automobili e dovremmo andare piu' veloci, abbiamo la lavatrice, la lavastoviglie, la tecnologia, i supermercati sotto casa, i cibi pronti e dovremmo avere piu' tempo ma non e' cosi'. Si ha poco tempo per pensare e riflettere!
Passiamo all’amore, al centro sia di "Non chiedermi parole d’amore"(con eco montaliana) che di "Il raro movimento". Se contassimo quante volte, con quante accezioni e con quante gradazioni di intensità e sincerità adoperiamo la parola "amore”" o parole amorevoli, perderemmo il conto anche solo per un giorno. Le emozioni più forti sono quelle che sono in un segno o in un gesto, rispetto a quelle contenute in parole inflazionate e sprecate?
Sono due cose diverse… Sicuramente esiste un linguaggio del corpo, che e' molto difficile da usare: non tutti siamo capaci di utilizzarlo. Lo adoperiamo in particolari momenti (se lo adoperiamo). La parola e' invece il mezzo per eccellenza con cui comunichiamo; pero' le parole spesso non parlano, ma recitano, perche' sono all'interno di un codificato. Inoltre spesso ce ne serviamo, ma non comunichiamo veramente. Quanto all'abuso delle parole, beh, non ci accontentiamo di "genio", quale può essere stato Leonardo e pochi altri, ma parliamo di "genio assoluto"! C’è poi un abuso di superlativi e come si fa poi ad usare parole così maltrattate? C’è chi dice che l’unico modo per comunicare sia quindi andare oltre il codice, scardinarlo. Questo è proprio dei poeti e noi lo facciamo forse in pochi momenti, come l’atto d’amore.
A proposito di scardinare il codice, scrivi nella tua "non-biografia", che Pasquale Panella, che ha scritto anche una sorta di “prefazione” al disco, ti ha insegnato proprio a fare questo: in che modo te l’ha insegnato?
Me l’ha insegnato con le parole, non a parole! (sorridiamo) Facciamo lunghe chiacchierate. Anche soltanto ascoltandolo ti rendi conto del profondo rispetto che lui ha nei confronti della parola nella lingua parlata, non solo in quella scritta. Utilizza solo quell’unico vocabolo che può rappresentare al meglio ciò che vuole dire in quel momento: il suo non è un giocare con le parole, come ritengono alcuni, ma in questo modo piuttosto scardina il codice, per far sì che l’ascolto non sia filtrato.
A proposito dell’utilizzo delle parole, Lella Costa nella sua testimonianza dice che ognuno di noi dovrebbe "proporsi di salvare un certo numero di parole". Quante ne muoiono secondo te proprio perché il linguaggio della musica (al di là dell’opera meritorio di un autore come Pasquale Panella) e della prosa che dovrebbe essere letteraria si sta appiattendo e banalizzando?
E’ un discorso molto complicato. C’e' innanzitutto una perdita di vocaboli (ma anche un’acquisizione di nuove parole) collegata al cambiamento della vita: se certi mestieri non si fanno piu', se alcuni utensili non sono piu' utilizzati, e' ovvio che pian piano il loro nome tende a scomparire. A me piace molto parlare con i vecchi, perche' hanno un vocabolario spesso inusuale, dato dalla loro vita. Quando io canto in "Fa niente" che mia madre "baciava il pane secco prima di buttarlo" non e' una trovata linguistica: è proprio cosi', l’ho visto fare. Il vocabolario si arricchisce anche delle esperienze della tua vita.
Poi ci sono un impoverimento del vocabolario e un appiattimento culturale provocati dai mezzi di informazione, sicuramente in modo voluto in anni di lavoro: la capacità critica e la possibilità di vedere la bellezza infatti sono pericolose, perché portano ad agire….
Le parole d’altronde possono essere mezzo di mistificazione, come anche strumento di illusione. "Menti se proprio devi, ma falle credere che è tutto vero" è uno dei consigli sussurrati ad un amico uomo per dire alla propria donna ciò che vuole sentirsi dire nel brano "L’attenzione". Quanto le parole d’amore sono strumento di inganno?
La differenza fondamentale sta negli individui, se sono o meno delle brave persone. Si può mentire ad un bambino che sta male, dicendogli "guarda, non è niente, non ti preoccupare, tra dieci minuti ti è passato": chi potrebbe dire che questa menzogna fa male?Lo stesso vale per questa canzone: avevo letto un romanzo di Henry Miller, "Sexus", in cui il protagonista ha un matrimonio così brutto che la sera dice all’amico di fare l’idiota, il pagliaccio, raccontare delle balle, pur di far ridere la moglie, perché è stata una giornata molto triste. In fondo c’è sempre qualcosa che non potrà mai essere detto ed arrivare in quel mondo indifferenziato che è l’origine di tutti i suoni e tutti i rumori è impossibile per noi. La sincerità è davvero impossibile, però si può tentare!
Spesso nei tuoi testi affiora una viva passionalità...ma in un’era in cui di sesso si parla tanto, anche troppo, eppure si ha ancora la curiosità sessuofobica di violare il senso del pudore altrui, quanto sono comuni le passioni vere? C’è il rischio che tutto, dall’abitudine all’abitudine alla trasgressione diventi noia?
Sì, perche' tu percorri un film già visto. La sottrazione dell’intimita' alle persone è anche questo. Attraverso la televisione vedo e sento, assorbo e ripeto: siamo tutti dei ripetitori!Ed è terribile, perché questo toglie unicità all’atto. E’ difficile la domanda che mi stai facendo…ma hai ragione quando dici che si rischia la noia in questa ripetizione, perche' c’e' il pericolo di non essere piu' capaci di creazione. Questo avviene non solo nell’atto d’amore, ma anche nella musica: io non approvo il litigio, la volgarità, ecc. ma soprattutto nei reality[ndr: talent-show], senza nulla togliere loro, quella che si veicola è musica morta. La bella musica vive sempre: una canzone degli anni ’60, se è bella, lo sarà per sempre. Però si promuovono dei “talenti” che in realta' sono li' in veste di interpreti e ripetitori di una musica che non e' dei giorni nostri. E’ la famosa differenza tra Haendel e Farinelli [ndr: il compositore e il famoso interprete ebbero un rapporto molto travagliato]. Bisognerebbe promuovere la creativita', che cosi' e' invece eliminata. E’ pericoloso: quando ai ragazzi togli la capacità di riconoscere e veicolare le emozioni, si creano quei vuoti che riempiono in altro modo.
Trovo abbastanza strano in effetti che nei talent-show, uno dei pochi spazi rimasti nella tv pubblica per la musica, non si promuovano dei progetti originali, ma si premino gli interpreti di canzoni assegnate, dando così poca visibilità a quello che compongono…
Quello che gli autori spesso dicono e' che la discriminante è l’audience: quando le persone ascoltano musica originale, non conoscendola, ovviamente devono fare un piccolo sforzo in piu'. Si ha paura quindi che gli ascolti non reggano. Questo poi e' un paese morto, perché vive su artisti grandissimi che hanno 60-70 anni, tranne pochissime eccezioni.
Beh, a volte i giovani per una serie di motivi, anche economici, sono distanti spesso dall’acquisto, quindi le classifiche risentono anche del fatto che forse i maggiori consumatori dei dischi sono proprio quei 60 anni che comprano dischi dei 60 anni…
Mah, sai, io non credo a quello che ci viene detto ormai da anni, cioe' che la rovina della vendita dei dischi sia Internet. Non è affatto vero! Negli anni precedenti c’erano le audiocassette e gli lp e le audiocassette si potevano comunque doppiare: perché la gente comprava i dischi? Anche qui c’e' l’insulto delle parole: non si va mai a fondo in un argomento!Io avevo mio cugino che aveva pile di vinili e potevo farci le cassette, ma c’era un’affezione al progetto, ormai distrutta!Tutto il pubblico che mi segue compra i miei dischi: perche'? Perché penso siano affezionati non solo alla musica, ma alla mia onesta', alla mia persona: se comprano il mio disco, non arricchiscono una multinazionale, ma fanno in modo che qualcosa che segue la sua strada, una strada diversa, possa sopravvivere…E’ come se fossimo tornati al mecenatismo.
Si', spesso i discografici si lamentano dei cali delle vendite, ma se si investe in progetti che sono usa-e-getta, alla fine il pubblico capisce che sono usa-e-getta e non acquista il disco…
Esattamente… Quando per anni dai al pubblico cd che costano tantissimo, ma hanno sei pagine di libretto e una canzone decente in croce, alla fine si masterizza…
A proposito della televisione, che abbiamo nominato più volte, tutto sta diventando spettacolo, dal dolore alla politica, e in qualche modo questo sottrae spazi alla musica, al cinema e all’arte in generale, che in tv sono confinate ad orari improbabili e sempre più in via d’estinzione. Secondo te perché accade questo?
L’ho detto più di una volta e a costo di crearmi dei nemici, io sono fiorentina e parlo schietto!
Audience a parte, niente mi toglie dalla testa che ci sia anche un progetto voluto e ben preciso, quello di togliere la possibilità di riconoscere la bellezza, nell’arte, nelle cose e in sé stessi, visto che la bellezza riempie. Si cerca di togliere i rapporti tra le persone, che riempiono, perche' l’altro riempie. Sarebbe importante riconsegnare alle persone i rapporti, la cultura e l’emozione da' felicità, che non rende schiavi dei consumi. Invece si fa in modo che le persone stiano il peggio possibile. In televisione “cortigiane” fanno le opinioniste e tutti parlano di tutto, senza avere titoli per poterne parlare: si parla di teatro, musica, arte, cinema… Aboliamo la chiacchiera!Non parlare di, ma sentire e vedere. E’ come quando a scuola ti parlano Botticelli e non ti fanno vedere i suoi quadri.
E’ come quando si parla dei libri senza leggerli: se non si ha modo di crearsi un giudizio personale, si finisce per assorbire acriticamente le "opinioni" che gli altri ti propinano…
Esatto, è proprio così.
Un’ultima domanda, sul tema di "Una basta". L’eccesso di parole, di immagini di vite ridotte a numero sminuisce molte tragedie: queste diventano statistiche, che non hanno senza significato perché non riusciamo a commisurarne la grandezza. Ma l’indifferenza (e uso non a caso questa parola, che dava il titolo al tuo precedente lavoro e quindi assume un senso particolare nel tuo percorso) non dovrebbe indignare?
Abolire il pudore (che e' una salvaguardia, una vigilanza, dato che consente di decidere il grado di apertura verso gli altri) abitua le persone a parlare sempre di se', a una sorta di autismo, per cui senti in continuazione: “Io…io…io farei…pero' per me …mi ha fatto quello, ho subito quell’altro”. Parlare sempre del proprio intimo, anche in modo fasullo (visto che figurati quanto c'e' di vero in quanto si racconta), abitua a vedere e sentire solo ciò che accade a noi, a non percepire l’altro. Ne è una dimostrazione l’uso del cellulare. Io insegno al conservatorio di Trento e viaggio spesso in treno: vi trovi persone al cellulare che urlano fatti loro che tu non vorresti per niente sentire!(ridiamo) Non guardano affatto se accanto c'e' qualcuno che vuole dormire, o davanti hanno qualcuno che vuole studiare… Dimmi te se questo non è autismo!Questo è un piccolo esempio per renderci conto di quanto cio' che accade in un’altra lingua, al di fuori del nostro paese, possa risultarci lontano. Anche il dolore degli altri ci appare lontanissimo. Invece basterebbe un bambino solo che muore di fame per capire l’assurdita' del sistema.
Ti ringrazio moltissimo, perche' e' stata un'intervista bellissima, una vera chiacchierata e succede di raro.
Sono io a ringraziarti, perché le domande erano interessanti e anche questo e' raro!
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