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Recensioni |
Pubblicato il 20/07/2017 alle 20:49:49 | |
Bullet the italian sky: U2 a Roma ..
Roma trafigge il cuore d'Irlanda: gli U2 non dimenticheranno facilmente il sacro fuoco dello Stadio Olimpico.
Roma trafigge il cuore d'Irlanda: gli U2 non dimenticheranno facilmente il sacro fuoco dello Stadio Olimpico.
Il concerto degli U2 non mi ha stupito. A dir la verità non mi aspettavo niente di diverso a livello qualitativo.
Mi spiego. Dopo averli visti al forum di Assago nel ‘91 per lo Zoo tv tour che portava in Europa quella che fu proprio la loro coraggiosa evoluzione musicale di Achtung baby, proprio dopo il tour mondiale frastornante ed opulento di The Joshua tree (il quale a sua volta aveva fatto scaturire un film ed un doppio Lp farcito anche di inediti intitolato Rattle and hum).. dopo averli visti nel ‘93 allo Stadio Comunale di Bologna per lo Zooropa Tour, nel ’97 al Campo Volo di Reggio Emilia con altre 150 mila persone per il tour dell'album Pop .. mi aspettavo ed ho trovato una band che fa scuola in tutto e per tutto.
Mentre a piedi mi dirigevo con amici verso lo stadio Olimpico, dopo aver parcheggiato l'auto in un box affittato per l'occasione in un garage distante una ventina di minuti, riflettevo ed in verità nutrivo qualche dubbio sulla voce di un 56 enne che già con All that you can’t leave behind aveva lasciato intendere il sopraggiungere anche per lui degli screzi del tempo che avanza. Evidentemente sottovalutavo l'approccio professionistico dell'irlandese, non comune a tutte le rock star, che ha preso le dovute contromisure, non ultimo l’abbassamento della tonalità di alcuni brani: Paul Hewson in arte Bono Vox ha subito fugato ogni mia incertezza.
Ora provo a descrivervi il palco con un aggettivo: scarno. Gli strumenti posti ordinatamente al centro, senza orpelli né fronzoli, addirittura il mixer di palco bene in vista alla sinistra della batteria di Larry Mullen junior, e degli ampli di Adam Clayton, con Dave “The Edge” Evans all’esatto opposto, e, dietro, un grande maxi schermo di color sabbia (è spento, sono le 17:00 quando entro all’Olimpico) interrotto sulla tre quarti a sinistra degli spettatori dal disegno dell'albero The Joshua tree. Stop. Una passerella ed un palco più piccolo, davanti a quello principale, per l’ormai “consueta” apparizione nel set acustico della band iniziata appunto nello Zoo tv tour.
Ci si aspettava quindi, nel mentre lo stadio si riempiva e veniva proiettato nel maxi schermo dell'Olimpico un video che dava indicazioni su come assistere in tutta sicurezza allo show, un'entrata ad effetto magari sulle note di Where the streets have no name. Si ragionava su un fantomatico ascensore che li avrebbe fatti apparire in mezzo al palco ed invece la sorpresa: un boato crescente annuncia la comparsa di Larry proprio sulla batteria del piccolo palco e via via vengono singolarmente illuminati con occhio di bue, sulla passerella principale mentre si incamminano verso Larry, singolarmente, i nostri beniamini: The Edge, Adam ed in ultimo Bono. Mentre The Edge scende Larry ha già iniziato il tempo di Sunday bloody sunday, canzone che per alcuni anni non era stata più riproposta dai 4 dopo Rattle and Hum, salvo tornare ad essere un must ai concerti negli anni successivi, e con essa gli U2 sembrano riavvolgere il nastro, riprendere il segno come a contestualizzare la successiva performance dell'album che li ha consacrati stelle mondiali del rock.
Segue New year's day con l'arpeggio di pianoforte unico ed immortale nella storia della musica planetaria, eseguita nella sua versione in studio quando ormai da anni ci eravamo assuefatti alla versione del live Under a blood red sky, con Bono che dice al microfono, a presagire un ottimo concerto, ...”There's something in the air, tonight” … e poi in italiano “Grazie mille per averci fatto tornare” ...e cita il poeta Keats di cui ha visitato l tomba a Roma, insomma è proprio una dichiarazione di amore di Bono per Roma che continua con “questa la più bella notte di sempre”... e si va con due brani di Unforgettable fire, cioè Bad e Pride. Perla la citazione di Heroes di Bowie nella parte finale di Bad ed ancora il richiamo al poeta John Keats.
A questo punto finalmente, si spengono le bianche luci, se vogliamo, riflettori tipici di un tempo lontano e seminale nella storia della band, e si accende la rivisitazione moderna del Josha Tree, un imponente schermo che si infiamma di rosso alle note dell’intro di tastiera di Where the streets have no name, ed iniziano, così come per le altre canzoni riproposte quali I still haven't found what I'm looking for, With or without you e Bullet the blue sky, a scorrere le immagini nitidissime di paesaggi americani, così come americano è l’albero che nonostante le contraddizioni e le difficoltà della civiltà occidentale americana, spesso umanamente desertificante, trova il modo come il Bene, di continuare ad affondare le radici indispensabili alla vita. Sottolineo che bellissima è la versione di Bullet che almeno sabato sera non viene usata per condannare l’operato dell’attuale Presidente Usa, mentre in With or without You le tribune e la curva partecipano all’impeccabile scenografia di fogli colorati, preparata per loro: un albero ed un “30” grigi su sfondo giallo.
Un emozionato Bono ci avvisa che siamo i …. “benvenuti al lato B” del vinile, come si usava allora. Partono allora i viaggi visivi e uditivi dei presenti verso In God's country, Trip through your wires e One tree hill, raramente suonati dal vivo ma veramente stupendi, coinvolgenti da cantare insieme a Paul Hewson ed eseguiti come regalo di riconoscenza verso il pubblico per il successo che ha regalato a questa band, e che ci portano alla conclusione dell’album attraverso i brani Exit, dove le mani si fanno strumenti di Bene o di Male e Mother of disappeared , dove l’attenzione del video è incentratata sulle candele, simbolo delle vita, che si spengono una ad una. Gli U2 non rinunciano al ruolo di voler cambiare il mondo, secondo ciò che reputano meglio, attraverso la musica, ci provano in tutti i modi anche, se vogliamo contraddittori: scorrono infatti le immagini, durante la riproposizione di Miss Sarajevo che utilizza la registrazione originale della voce del compianto Luciano Pavarotti, della città martoriata e poi in Ultraviolet, di donne famose per il loro impegno per l’umanità intera e tra queste (addirittura) la Merkel a fianco della nostra Levi Montalcini.
Beautiful day, Elevation, Vertigo, invece infiammano ed esaltano il pubblico, vere e proprie bombe adrenalitiche che fanno tremare la tribuna Monte Mario, dove mi trovavo ed il resto dello Stadio. Nota dolente, forse per la mia posizione, la qualità dell’audio soprattutto a riguardo della chitarra di Dave Evans che a tratti era cupa o addirittura assente del tutto. Non l’ho ancora menzionata, ma una stupenda notte romana non poteva concludersi senza il brano più conosciuto degli U2 e cioè One. Con il pubblico che partecipa come quinto musicista, quinto ingrediente alchemico di una notte da incorniciare anche questa volta, come al Flaminio 30 anni prima, per i quattro d’oltre Manica.
A questo punto non ci sarebbe davvero il bisogno, a livello emotivo, di aggiungere altro ma gli U2 decidono di fare un regalo al popolo italico venuto ad accoglierli ed eseguono un brano del prossimo album: The little things that you leave away . Se la cosa è gradita da un punto di vista emotivo, e rinsalda il legame tra la band ed il pubblico accorso, forse, strategicamente, questo era il momento meno adatto per eseguire un brano che non fa del ritmo incalzante la sua arma migliore e che nessuno ancora conosce. Gli U2 sono tornati; sono ripartiti. Ma hanno lasciato un segno indelebile tra le stupende statue dell’ausonio Stadio Olimpico così come siamo sicuri che il cielo di Roma abbia lasciato un segno, come di proiettile, nel loro cuore gaelico.
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