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Recensioni |
Pubblicato il 27/05/2004 alle 21:33:45 | |
I "Passi d'autore" del "pigro" Pino Daniele
È uscito il nuovo cd del bluesman napoletano, che ora si dà al latin jazz insieme al Peter Erskine Trio. Bene, bravo! Ma cosa c’entrano i cori lirico-gregoriani che appaiono ogni tanto? E poi basta col rap! E quel battito campionato???
«Pino Daniele non ha mai cantato una canzone di successo»: con questa impietosa quanto falsa dichiarazione, Mogol nel 1993 etichettava il cantante napoletano come uno sfigato. In realtà, il buon Pino aveva cantato eccome canzoni di successo: dove mettiamo “Na tazzulella e’ café”, “Je so’ pazzo”, “Quando”, “O’ scarrafone”, “Napule è”, “Quanno chiove”, “A me me piace o’ blues”, “Yes I know my way” e via elencando? Forse giusto negli anni ’80, per via di dischi anche troppo sperimentali, che mischiavano inglese, italiano e napoletano a blues e soul, Daniele non è stato propriamente sulla cresta dell’onda, ma di certo undici anni fa non si poteva parlare di lui come di un autore poco noto al pubblico! Di lì a poco avrebbe incontrato un favore ancora più grande, grazie ad album come “Non calpestare i fiori nel deserto” (1995), “Dimmi cosa succede sulla terra” (1997) e “Yes I know my way” (1998). In seguito, complice anche il fatto che alla fin fine l’artista partenopeo proponeva sempre la stessa pappa, il consenso popolare era venuto un po’ meno, accompagnato tra l’altro da un lavoro davvero brutto, in assoluto il peggior cd di Pino Daniele: “Come un gelato all’equatore”. Un passo falso in cui faceva capolino l’elettronica (cosa c’entra Daniele con l’elettronica? Niente, e infatti si sentiva…), per non parlare di un rap fastidioso — già presente, in realtà, nel disco del ’97 — che Pino non sa fare e che si ostinava a proporre in più di un brano.
Nel 2001 il passaggio alla Bmg e un ritorno al senno con “Medina”, che lasciava ben sperare: arrangiamenti buoni e alcuni testi in napoletano. Ora, non essendo più baciato dal successo come a metà degli anni ’90, la scelta di approdare a una musica di maggior classe. Già dal titolo, “Passi d’autore”, si intuisce questa volontà, confermata da una foto in copertina che lo ritrae serio e pensieroso. Dopo le influenze arabe e africane degli ultimi cd, Pino si accosta al latin jazz: il risultato è positivo, in quanto la pappa (eh sì, purtroppo le scelte geniali e rischiose di prima ormai non ci sono più) viene rimescolata e alla fine il suo sapore non è neanche male. Sette canzoni, esattamente la metà del cd — “Nuages sulle note”, “Pigro” (il primo singolo), “Tango della buena suerte” (dedicata a Maradona), “La nostra estate insieme”, “Concerto per noi due” (bello l’uso degli archi), “Sofia sulle note” e “Isola grande” (che nomina Che Guevara) — sono senza dubbio quelle che conferiscono un valore aggiunto all’ascolto, e strappano un bel “bravo” a Pino; quando ci si mette, sa ancora fare bene il suo mestiere. L’unico particolare che non ci è molto chiaro e che, di fatto, impedisce a questo cd di diventare una piccola gemma è però relativo all’altra — secondaria — anima del disco. Un’anima che vive sotto pelle, ma che all’atto pratico si avverte: Pino utilizza in alcune occasioni un coro a metà fra il gregoriano e la lirica, rendendolo ora protagonista (“Gli stessi sguardi”, “Ali di cera”), ora comprimario (si sente all’inizio di “Arriverà l’aurora” e alla fine di “La mia casa sei tu”… tra l’altro, qualcuno mi spiega cosa c’entra in quel punto?). Ci sono poi degli errori che il cantante napoletano poteva tranquillamente evitare: il battito campionato di “Dammi una seconda vita”, totalmente fuoriluogo, e il rap (ancora lui! E basta!!!) di “Deja’-vu”. Peccato, perché a causa di questi elementi si può parlare solo parzialmente di una rinascita. E la colpa non è certo del Peter Erskine Trio!
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