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Pubblicato il 31/03/2015 alle 10:44:36
Paolo Talanca: l'intervista - concerto, ottimo strumento di divulgazione della canzone d'autore
di Martina Neri
Paolo Talanca, critico musicale, ci parla della formula dell' 'intervista - concerto' come modalità ottimale di divulgazione della canzone d'autore

Paolo Talanca, critico musicale e membro del Club Tenco, ci parla della formula dell' 'intervista - concerto' come modalità ottimale di divulgazione della canzone d'autore. Da Max Manfredi a Roberto Vecchioni, passando per Samuele Bersani e Niccolo' Fabi, i suoi incontri hanno dato modo di andare a fondo nell'analisi di alcuni repertori, e sottolineare aspetti compositivi di ognuno che, a una fruizione più superficiale, possono sfuggire.

Hai sperimentato con successo la formula dell’intervista concerto, una chiacchierata con artisti inframmezzata da esecuzioni di canzoni chitarra e voce. La formula non è un’invenzione nuovissima, i giornalisti Ezio Guaitamacchi, con la sua rassegna itinerante Acoustic cafè e Stefano Mannucci alla libreria N’importe quoi di Roma la portano avanti da vario tempo, senza dimenticare il ciclo ‘Incontri d’autore’ che Castaldo e Assante tenevano anni fa all’Auditorium di Roma. Quale differenza c’è con la formula che hai adottato tu?

Per quello che mi riguarda, dietro c’è un metodo preciso che deriva dal mio libro del 2008, ‘Cantautori novissimi’, in cui parlo della canzone d’autore come genere musicale, come linguaggio artistico. Lì esaltavo la struttura nuda della canzone (parole-armonia-melodia, cioè voce del cantautore su un solo strumento di accompagnamento) e, nell’intimità della chiacchierata sul palco dell’intervista-concerto, cerco di risalire il più possibile a quella prima miccia iniziale della creazione di una canzone, parlandone con le uniche persone con cui posso parlarne: gli autori delle canzoni, gli stessi che scrivono sapendo poi che quei brani li canteranno.
Ho cercato di buttare giù prima, quindi, una solida base concettuale, poi ho iniziato a fare le interviste-concerto. La prima in assoluto fu con Max Manfredi, nel 2011, proprio perché Manfredi era uno dei protagonisti principali del libro del 2008.
Da qui si spiega anche la modalità di esecuzione dei brani durante l’intervista-concerto: piano-e-voce o chitarra-e-voce.

Hai dichiarato che l’intervista concerto è una delle formule migliori per esaltare la canzone d’autore, che cosa intendi per canzone d’autore? In linea teorica un incontro di questo tipo funziona con Vecchioni e non con, mettiamo, Gigi D’Alessio?

Si va un po’ sul tecnico, ma credo ne valga la pena. Canzone d’autore è un modo di intendere la canzone che tra gli anni Sessanta e Settanta voleva dire una maniera precisa di scriverle: un linguaggio che esaltasse il più possibile la parola cantata, con testi “che si stanno a sentire”, per dirla con l’Umberto Eco del 1964, che non si accontentino di immagini stereotipate (mi piace chiamarle icone: in Italia storicamente queste icone sono le melensaggini melodrammatiche), ma sfruttino la potenzialità anche straniante, semantica, storica e “poetica” della lingua italiana. Oggi, per antonomasia, dato il successo dell’espressione, “canzone d’autore” ha un significato molto più onnicomprensivo, che quindi non si limita al “materiale” testo-melodia-armonia, e credo sia anche giusto così: a patto però che si capisca da dove viene storicamente l’espressione. Voglio dire: anche “ciao” oggi è la più banale forma di saluto, spesso anche sfrontato, sapere che deriva dall’espressione veneta “schiavo vostro” restituisce l’originario rispetto preliminare verso l’altro, indispensabile nei rapporti interpersonali, e così l’espressione recupera tutto il fascino, guadagnandosi magari usi più consoni e corretti. Stiamo parlando di canzoni, quindi anche di parole, che sono vive e hanno una storia che va rispettata e che “significa”.
Se con Vecchioni quindi la cosa funziona, le canzoni di Gigi D’Alessio sguazzano – legittimamente, per carità! – nello stereotipo e nelle icone, perciò alla terza risposta non si andrebbe oltre cose del tipo: “Alla gente piace, emoziona, quindi è una bella canzone”.
Io credo che artisticamente si possa chiedere di più a una canzone.

Secondo te per te gli artisti è un’occasione da prendere al volo?

Questo non lo so, so che a quelli che scrivono per un’esigenza autentica piace sottolineare certi aspetti. Poi, incidentalmente, il format soddisfa anche l’esigenza degli organizzatori (pubblici e privati) di risparmiare.
In più, chi sa scrivere strutturalmente canzoni si accorge che parlarne due minuti prima di eseguirle aumenta esponenzialmente l’emozione del brano, perché durante il canto ci sarà sempre un momento preciso, nel quale tornerà in mente al pubblico la motivazione vera e creativa di cui si è parlato poco prima, una specie di espressione artistica di una confidenza a un amico, e si avrà la sensazione che tutto sia al proprio posto: “Te l’ho detto chiacchierando, ora ho codificato quell’emozione”.

Che differenze hai riscontato tra la serata con Vecchioni e quella con Fabi?

Sono due artisti formalmente molto diversi, ma per certi aspetti molto più vicini di quanto si possa pensare. Di base c’è la consapevolezza di padroneggiare – per cultura personale – gli elementi creativi, per via di una solida preparazione umanistica e letteraria. E non è vero che non si sente o che non conta: non ti fa essere più creativo artisticamente (il merito creativo, per fortuna, è terreno insondabile anche dal miglior critico), ma la padronanza del mezzo espressivo restituisce un’armonia e una pulizia formale che rende di per se' una meravigliosa grazia che fa la differenza.
Ti confesso che secondo me Fabi sottovaluta l’enorme potenzialità che hanno le sue canzoni di diventare patrimonio della gente. È un mostro di bravura e, a differenza di altri cantautori, ha il dono innato di scrivere davvero per tutti, forse anche perché ha un’anima di scrittura ed esecuzione precisamente musicale, che esalta il groove, il ritmo, quindi empatica, dal linguaggio universale.

Hai in programma altri incontri nel prossimo futuro?

Sto valutando certe situazioni. Di base, per un’ottima riuscita dell’intervista-concerto deve esserci anche una giusta location: è uno spettacolo teatrale vero e proprio. Mi piacerebbe farla con Cristicchi, per la sua capacità teatrale e perché le sue canzoni credo siano perfette in quest’ambito.
Non ti nascondo, poi, che mi piacerebbe farla con Fossati e Guccini, perché hanno smesso con la pubblicazione di dischi e con i concerti, ma vorrei che si capisse che questa formula è anche una possibilità di incontro, un modo per esaltare e celebrare una forma artistica precisa e i migliori artisti che quella forma l’hanno usata e diffusa.


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