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Interviste |
Pubblicato il 16/11/2001 alle 21:37:49 | |
Nessuna resa per... Massimo Priviero
Massimo Priviero è tornato con una nuova antologia, arricchita da brani inediti.
Personaggio chiave della scena rock italiana, tra fine anni ’80 e primi anni ’90, Massimo Priviero è recentemente tornato sul mercato con una raccolta di propri successi. Chi lo ricorda per “San Valentino” e “Nessuna resa mai”, dal taglio fortemente springsteeniano (non a caso “Nessuna resa mai” è stato prodotto dal chitarrista della E-Street Band Little Steven), non dimenticherà di certo il rock di grande spessore proposto dall’artista veneto. Trovato appoggio nell’etichetta “Duck Record”, Massimo è ora tornato ai fasti di un tempo, tanto da aver ritrovato quella grinta e quell’energia, che usciva dai solchi dei suoi primi vinili.
Ciao Massimo, e benvenuto su Musicalnews. Abbiamo avuto modo di apprezzare recentemente "Poetika" il tuo nuovo CD, dove fai anche un sunto della tua carriera. Com'è nata l'idea di questa antologia, arricchita da brani inediti?
L'idea di un'antologia è abbastanza naturale dopo una decina d'anni di carriera.... tuttavia, avendo sempre giudicato insopportabile la formula "raccolta più uno-due inediti", ho pensato che fosse più giusto costruire un ponte tra passato e presente risuonando, riarrangiando, anche riscrivendo alcune canzoni edite e aggiungendo sei inediti che meglio legassero con queste, in termini lirici e musicali. Questo ti porta inevitabilmente a fare delle scelte, sia sul materiale preesistente e sia sulla scelta delle cose nuove che abbiamo preso da un album di inediti praticamente pronto... ma questo pensavo che fosse giusto fare in questo momento.Spero davvero di essere riuscito a costruire un lavoro unitario in termini di energia musicale, di intensità emotiva, di ricerca poetica di strada,insomma di tutto quello che cerco nella musica che ascolto e che faccio.
Quali sono stati i tuoi esordi, in età giovanile, come musicista? Il tuo esordio è "San Valentino", pubblicato nel 1988 dalla major Wea. Come sei arrivato alla produzione di questo disco, che viene tutt'ora ricordato come l'inizio del rock "Made in Italy"?
I miei inizi discografici, dunque "S.Valentino", sono semplicemente quelli di un giovane musicista che aveva girato l'Europa facendo il menestrello nelle metropolitane,contemporaneamente studente universitario e altro, che arriva con un pugno di canzoni a una grande multinazionale, senza produttore né manager anche e soprattutto per scelta, a cui viene detto qualcosa tipo"...stavamo aspettando il rock d'autore...ecc. ecc....vai a Londra registra l'album...ecc.ecc......".Il resto più o meno è noto,a grandi linee. Ricordo con grande affetto quel periodo e naturalmente anche quell'album, nonostante abbia dovuto sopportare mio malgrado un intervento di "ripulitura" difficilmente gestibile per chi ero io allora...davvero ho pensato tante volte in quel periodo di riprendere chitarra, zaini e quaderni e di ripartire... Questo è quel che ero in quel periodo e soprattutto prima di "San Valentino"..... un solitario, un giovane che cercava nella sua musica forza e ragioni di vivere... chiaro che anch'io come tanti ragazzi facevo e disfavo mille band all'anno, suonavamo soprattutto blues e rock sessanta-settanta, molto Stones, per esempio.... ma da ragazzo per me la musica era prima di tutto Dylan... ho iniziato a suonare la chitarra da ragazzino perché "dovevo" imparare a suonare "Mister Tambourine Man"... capisci cosa voglio dire... perché il mio sogno da ragazzo era suonarlo nella metropolitana di Parigi ,il mio sogno non era andare primo nella Hit Parade... è che a un certo punto devi provare a giocare le tue carte in altro modo, devi provare a vedere se riesci a vivere della tua musica, devi provare a comunicare con più gente e allora le strade da battere sono altre... i contratti, i produttori, le major, le feste a cui non andavo mai, le telefonate ai giornalisti che non facevo mai... ecc. ecc......
Per "Nessuna resa mai" (1990), il tuo secondo lavoro (inciso sempre per la Wea), hai la possibilità di collaborare con Little Steven, della E-Street Band di Bruce Springsteen, oltre ad artisti del calibro di Lucio Fabbri e Flavio Premoli. Puoi raccontarci di quella straordinaria esperienza, e che ricordi hai dell'uscita del disco e del riscontro ottenuto da critica e pubblico?
Il primo album va in classifica c'è molta attenzione su di te, hai un pugno di canzoni nuove, vai in studio e trovi un team di produzione che oltre a mangiare un pacco di soldi alle tue spalle è pronto a massacrare il tuo nuovo lavoro e a quel punto sei quasi pronto a dire che ne hai abbastanza... In quel momento c'è un tuo amico che fa il fotografo musicale che manda la tua pre produzione, intendo dire praticamente i pezzi chitarra-voce, a un suo amico e che il suo amico ti chiama una settimana dopo e ti dice "...sono Little Steven e sarei orgoglioso di lavorare con te, di venire a produrre il tuo nuovo album...". Ho ddi venire a produrre il tuo nuovo album...". Ho dei ricordi bellissimi di Steve, di quel periodo e anche dell'amicizia che è seguita.... eravamo davvero sulla stessa onda, sia musicalmente che come modo di intendere la vita, ugualmente pensavamo a quanto la musica dovesse tornare ad avere una forza di impatto sociale che in quel periodo in Italia soprattutto, sembrava avesse smarrita... puoi immaginare come questo non abbia fatto che aggiungere qualche nemico in più ai tanti.... è normale, è una regola vecchia come il mondo, quando dici sempre di più quello che pensi.... Sai, storicamente in Italia c'erano i cantautori da una parte, quelli da premio Tenco... più o meno, o quelli più affermati e dall'altra il rock buono per impressionare le biondine nei bar di Reggio Emilia..... non era normale battere altre strade, non era normale tanto altro... e Steve non era solo la spalla ,il fratello o il chitarrista-produttore di Bruce, ma anche quel gran rompicoglioni di "Sun City", per esempio... e io battevo strade senza gran coperture alle spalle e senza le royalties di "Born in U.S.A.".... In tutto questo, il disco va molto bene e non solo in Italia, ma si muove bene in Germania, Francia, Scandinavia... parola d'ordine nella mia vita diventa "Nessuna resa mai".... scoprendo con dolcezza e commozione, che non vale solo per me ma anche per tanti ragazzi che comprano i miei dischi e vengono ai miei concerti.
Per "Rock in Italia" (1992) ti affidi all'etichetta DSB. Quali furono i motivi che ti spinsero al cambio di etichetta?
Dopo "Nessuna resa mai" dovevo un terzo album alla Warner ma decisi di cambiare etichetta fondamentalmente per avere la situazione artistica, e non solo, maggiormente sotto controllo anche se mi ritrovai a rifiutare la proposta di un'altra multinazionale fidandomi dell'entusiasmo di questa nuova piccola etichetta, che credo scomparsa. In realtà la Dsb fu semplicemente un parcheggio in cui un ex capo di major decise di mettersi in attesa di tempi migliori.... Tuttavia, tralasciando le miserie dei discografici italiani...."Rock in Italia" fu un album che andò anche bene e non solo in Italia. C'è un mix di ballate e di pezzi "energici" che spero felice, è forse anche l'album più volutamente "mainstream" che ho fatto, se vuoi anche più volutamente "innocente".... ecco, l'innocenza è un tratto che ho sempre cercato nella composizione e parlo di innocenza razionale, che qualche sciocco a volte ha scambiato per ingenuità... penso a canzoni come "Solo come te", per esempio...
Nel brano "Rose di Romania" collabori anche con Massimo Bubola. Cosa ricordi di quella esperienza?
Per quel che riguarda la collaborazione artistica con Bubola, devo dire che è stata un esperienza interessante... credo che entrambi facciamo della ricerca "lirica" un punto fondamentale..."Rose di Romania" è un piccolo quadro disegnato insieme, un flash di quel che avveniva soprattutto in quei periodi ad Est Europa e contemporaneamente una "immigrant song" e cioè un tipo si canzone che spesso ricorre nei miei album, in modi diversi.... essendo alla fine anch'io un emigrante del duemila oltre che un vagabondo metropolitano... mi ha sorpreso come questo album abbia venduto in Giappone... qualcuno saprebbe darmi risposte?
I due album successivi "Non Mollare" (1994) e "Priviero" (1998) escono entrambi per la Dig It, anche se non riescono a trovare una giusta collocazione sul mercato forse, credo, per una scarsa distribuzione e promozione degli album. Questo mi porta a pensare come in Italia è ancora difficile proporre a fare rock. Sei d'accordo?
Dopo l'esperienza con questa piccola etichetta (la DSB n.d.a.), contavo di provare a rientrare in una major... sennonché i miei editori mi parlarono di una grossa indipendente, specializzata in altri generi musicali, intenzionata ad aprire un grosso settore pop-rock italiano, con grandi investimenti, ecc.ecc..... ora, preferirei non fare commenti su quel periodo, mi limito solo a dire di aver rischiato il divorzio con mia moglie e di essermi preso del pirla da mio figlio, che all'epoca poteva avere tre anni, per aver firmato quel contratto... penso che questo commenti abbastanza l'aspetto extramusicale della vicenda .Artisticamente, amo molto "Non Mollare", lo considero il mio lavoro più aspro, direi quasi "ferito", e ho visto con soddisfazione che "Poetika" lo ha un po' ritirato
fuori, almeno a giudicare dalle vendite e dalle richieste nei concerti... di questo album sono legato in particolare ad "Addio Italia" e a "Lattine di birra e bottiglie di pioggia"... aggiungo che lego quel periodo anche alla tesi di laurea in Storia contemporanea che finalmente riuscii a fare... furono mesi bellissimi, di ricerca in ambiti completamente diversi ai miei soliti, mesi quasi disintossicanti. Al contrario,"Priviero" è il mio album più da cantautore, più sbilanciato verso le ballate e credo che in questo abbia giocato la produzione di Lucio Fabbri ,un amico ,una persona splendida e un grande musicista che già aveva lavorato con me durante "Nessuna resa mai" insieme ad altri pezzi di PFM. Di "Priviero" penso sia proprio la parte più lirica quella più valorizzabile, penso a "Romeo e Giulietta sulla collina..." a "Nordest", ad "Angelina"... In quel periodo, purtroppo, ebbi un grandissimo dolore a causa della scomparsa di quello che nell'ultimo periodo era diventato il mio manager e cioè di Franco Mamone. Avevamo progettato ed ormai avviato dei grandi progetti insieme e sono sicuro che avremo diviso un bel pezzo di strada vista la fiducia e la stima reciproca... non so, se sto parlando forse in termini razionali, ma mi è davvero difficile dire quanto c'era che stava nascendo insieme, artisticamente e umanamente parlando... ma andò così.
Con "Poetika" sembra che il pubblico degli appassionati e la critica specializzata abbiamo riscoperto Massimo Priviero. Com'è stato accolto l'album?
L'idea di "Poetika" l’ho più o meno spiegata all'inizio e mi limito ad aggiungere che il titolo nasce proprio da un bisogno di ricerca di poesia,lirica e musicale,che mi accompagna da sempre e che è il tratto di lettura di quello che cerco di fare,accompagnato all'energia e al bisogno di innocenza che mi porto dietro. Il pubblico sembra averlo recepito bene e il tratto fondamentale di questo lo avverto soprattutto nei concerti che facciamo, per scelta, in trio elettroacustico... una chiave di lettura che in Italia è poco usata, ma che sembra piacere particolarmente... nel senso che proviamo a dare sia l'impatto emozionale delle liriche vestendole in modo apparentemente scarno, sia a conservare l'aspetto energico, in qualche momento tra Rem e Nirvana, per intenderci..... e tieni presente che parla uno che piuttosto che assistere ad un unplugged di un cantautore italiano preferirebbe vedere qualsiasi altra cosa in alternativo, compresa l'ultima band scalcinata dell'ultima birreria.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Al momento ci sono concerti. Per parlare di progetti futuri e un nuovo album credo per l'anno prossimo… e ti confesso che sono molto tentato dall'idea di un album suonato sulla falsariga e con la dimensione del live.
E per concludere, quali sono i dischi fondamentali per Massimo Priviero?
Diversi album sono stati fondamentali in fasi diverse della mia vita musicale. Di italiano potrei ribadire una dichiarazione d'amore artistica per Fabrizio De Andrè e una grandissima ammirazione per Vasco Rossi, perché affianco così due nomi che la critica italiana ha sempre messo in due luoghi diversi, capendo come al solito meno di niente. Storicamente, per quel che mi riguarda di più, direi tutto il primo Dylan (come faccio a dare un titolo, va bene "Another side of Bob Dylan"?), i primi tre Rolling Stones, Tom Waits (“Blue Valentie” e “Heart Attack” soprattutto), Springsteen (“Darkness…” e “Born To Run”), Jackson Browne (“For Everyman”). Più "recentemente" direi Pearl Jam, particolarmente l'ultimo, e aggiungo un live di Van Morrison in serata di grazia.
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