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Pubblicato il 26/07/2017 alle 16:17:18
Motta infiamma Roma nell'ultima data del tour
di Raffaella Daino
Quando a Villa Ada, a Roma, dopo un lungo sound check seguito al set di Paolo Benvegnù, risuonano le prime note dalla sapiente chitarra elettrica di Giorgio Condemi, è chiaro da subito che sarà un grande concerto.

Quando a Villa Ada, a Roma, dopo un lungo sound check seguito al set di Paolo Benvegnù, risuonano le prime note dalla sapiente chitarra elettrica di Giorgio Condemi, è chiaro da subito che sarà un grande concerto.

Basta un accenno di melodia ad accendere i 2500 presenti accorsi all’ultimo concerto di un tour di 100 date lungo più un anno. E bastano le prime parole ad infiammare la platea. Quel timbro di voce, quelle parole scandite con la fermezza di un ipnotico tono agganciano lo sguardo al palco e non lo abbandonano più, fino alla fine di un set che dura un’ora e mezza ma sembrano pochi secondi.

“La paura di invecchiare e di tagliare i capelli”, sentimenti e angosce generazionali messi in musica e appoggiati su arrangiamenti che fluttuano tra dissonanze ed arpeggi magnetici e non puntano mai alla conquista dell’ascolto facile. Voce e sguardo da matto e indole da rockstar, Motta. Perfettamente credibile quando racconta le storie dei suoi primi vent'anni appena trascorsi, in canzoni che gli sono valse l’en plein di premi e riconoscimenti, la devozione del pubblico sold out quasi ad ogni concerto, il consenso della critica. L’ex Criminal Joker che aveva scelto di diventare solista meno di due anni fa, che aveva stupito tutti con il suo album d’esordio, continua a convincere e a riempire i palazzetti. Racconta se stesso con la spontaneità di chi si guarda allo specchio e decide di non aver più paura dei suoi demoni, di chi quelle cose le ha scritte perché le ha davvero pensate, quelle paure le ha davvero vissute e ha deciso di tentare di esorcizzarle.

Il pubblico lo segue, lo ascolta, lo ama, mentre quelle cose le suona e mentre quelle cose le racconta, tra una canzone e l’altra. Circondato da musicisti straordinari, che lui più volte menziona e ringrazia durante il concerto, definendoli “la sua famiglia”, sostenuto da una sezione ritmica martellante con Cesare Petulicchio alla batteria e Leonardo Milani basso e tastiere, e abbracciato da una chitarra superba, quella di Condemi, e dal violino suadente di Andrea Ruggiero, convince e ammalia, conquista e non stanca, strofa dopo strofa, verso dopo verso, sciorinando un talento innato da animale da palco, come raramente si è visto tra i musicisti italiani negli ultimi anni. Un fenomeno Motta. Disincantato. Quasi cinico. Distaccato, distante e magnetico.

Volevo vedere Motta dal vivo per capire il senso di questo fenomeno esploso in pochi mesi. Ora ho capito e gioisco del successo di un artista che non è un personaggio costruito a tavolino e nemmeno arriva dalla tv. Non è musicalmente nato ieri Motta ed è un barlume di speranza per i tanti bravi musicisti che hanno qualcosa da dire, di gavetta ne hanno fatta tanta e per citare lo stesso Motta “ di panini, la notte, negli autogrill” ne hanno consumati tanti.

Trovo questo folletto della musica dal volto pallido, la voce metallica, lo sguardo stralunato e i riccioli ribelli che tanto ricordano Syd Barrett, la più appassionante tra le recenti realtà rock della scena musicale italiana.

Motta che al suo pubblico si racconta e si confessa con disarmante verità, che si prende la libertà di suonare le cover della sua vecchia band, che si prende il suo tempo, posa gli strumenti e durante una lunga e incalzante coda strumentale tra una boccata di sigaretta e un sorso di grappa si ferma a guardare il suo pubblico. Si gode la scena. Si prende in mano tutto il suo successo passeggiando a bordo palco mentre la musica si fa nevrotica e psichedelica, fino ad esplodere sul ritmo tribale e ossessivo di “Roma stasera”. Un inno, un tormentone, su una sola nota e una voce monocorde. Stupefacente. La ricerca della bellezza sta tutta qui.






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